Coronavirus a Napoli, il dramma del presidente dell'Ospedale Betania: «Ho temuto di morire, ora voglio fare del bene»

Coronavirus a Napoli, il dramma del presidente dell'Ospedale Betania: «Ho temuto di morire, ora voglio fare del bene»
di Francesca Mari
Venerdì 10 Aprile 2020, 09:00
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«Ho visto la morte con gli occhi, adesso sogno di andare al mare e poi tornare nella mia Germania. Lì si rispettano le regole, in Italia no. Ed è molto grave, ancor più in questo momento». Cordelia Vitiello, presidente dell'Ospedale Evangelico Betania - ex Villa Betania - e vice del Concistoro della Chiesa Evangelica Luterana in Italia, è appena guarita dal Covid-19. Mercoledì ha firmato il protocollo con la Regione e con l'Aiop: il Betania, fino ad oggi solo pronto soccorso per smistare i sospetti, accoglierà tre pazienti Covid, 14 post acuti e 141 no Covid. Di madre tedesca di Wurzburg, in Baviera, e padre napoletano l'attore e regista teatrale Gennaro Vitiello - parla dal giardino della sua casa a Torre del Greco dove deve restare 14 giorni in quarantena.
 


Lei è tra i primi contagiati di Torre del Greco, il comune campano con più casi e 15 decessi. Come ha scoperto di essere positiva al Covid-19?
«Era il 15 marzo, avevo febbre a 38 e un mal di testa insopportabile. Sono rimasta in isolamento a casa e, dopo tre giorni, mi hanno ricoverato al Betania, in attesa del tampone. Qui ho fatto anche la tac che ha rilevato la polmonite».

Poi?
«Poi il risultato del tampone: positivo. E stato il momento in cui ho pensato di morire. Eravamo all'inizio della pandemia, si parlava solo di morti. E ho continuato a piangere quando mi hanno messo nell'ambulanza, non sapevo neanche dove sarei stata portata. Mi stavano portando al Ruggi di Salerno, centro Covid e specializzato in malattie infettive».

Come ha vissuto questo tempo? Era ricoverata in terapia intensiva?
«No. Fortunatamente in sub intensiva con un'altra paziente. Non avevo problemi respiratori, ma il mio sangue era povero di ossigeno, da lì il mal di testa. Terribile. Giorno e notte. Mi sentivo come in un vortice. Il mio unico contatto con il mondo era il cellulare, ero preoccupata per i miei cari. Inoltre, ogni giorno arrivavano notizie di decessi nelle stanze accanto e ricoveri di pazienti gravi. Un incubo».

Cosa l'ha supportata in quei giorni?
«La bravura dei medici, veri eroi, e la fede. Io sono stata cresciuta nella fede da mia madre, che discendeva da una antica famiglia tedesca di pastori e vescovi luterani. Da bambina mi leggeva sempre dalla Kinderbibel, la bibbia per bambini. Ho ricevuto tanti messaggi: dal direttore della Federazione Mondiale Lutero, Martin Junge, dal nostro decano, Heiner Bludau, dal presidente della Federazione Mondiale Luterana, Panti Filibus Musa. Poi, sottoposta alla terapia Ascierto, pian piano ho cominciato a riprendermi ed ora sono guarita. Il mio scopo è far del bene e voglio tornarci al più presto».

Crede che il contagio sia avvenuto all'Ospedale Betania?
«No, anche perché io agli inizi di marzo avevo partecipato ad alcuni consigli di amministrazione, ma lì non si è verificato alcun caso. Certo, proprio in quei giorni un medico cardiologo con la figlia, risultati poi positivi al virus, sono venuti al pronto soccorso senza passare per l'area Covid. Abbiamo messo in quarantena il reparto e per fortuna non ci sono stati contagi. Credo di aver preso il virus a Torre del Greco». 

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