Coronavirus a Napoli, task force anti-contagio: «Controlli e tamponi rapidi, così evitiamo nuovi focolai»

Coronavirus a Napoli, task force anti-contagio: «Controlli e tamponi rapidi, così evitiamo nuovi focolai»
di Ettore Mautone
Lunedì 20 Luglio 2020, 11:00 - Ultimo agg. 15:31
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In Italia continua il trend di leggero peggioramento dei nuovi casi di Coronavirus che si trascina dal 14 luglio (ieri 6,1 positivi ogni mille tamponi) ma calano quasi a zero i decessi e scemano i casi ospedalizzati (792 in tutta Italia di cui 9 in Campania). Dati in contraddizione con un indice di contagio che invece cresce quasi in tutte le regioni compresa la Campania dove si attesta a 1,19. Come leggere questi dati e cosa si rischia con i nuovi focolai? A rispondere è Maria Triassi, ordinario di Igiene, Medicina preventiva ed Epidemiologia dell'Università Federico II. «Non tutti i casi positivi al Coronavirus sono uguali. L'epidemia da Covid-19 va letta con maggiore profondità dividendo i casi in asintomatici, sintomatici, ospedalizzati e forme gravi. Dire che in un giorno a Napoli ci sono stati 10 o 15 casi positivi non è sufficiente per tracciare un quadro della situazione reale».
 

 

Cosa è rilevante invece?
«Leggendo i dati in profondità e poi spingendo sulla leva dell'educazione alla salute. Precauzioni come indossare le mascherine nei luoghi chiusi, evitare i luoghi affollati e lavare le mani sono correttamente indicate dalla Regione e dal Comitato tecnico scientifico del ministero. Così gli screening a tutti i contatti, i controlli su chi rientra da altri Paesi, lo stop ai viaggi dalle zone ad alta incidenza epidemica. Ma dobbiamo sapere che quest'ultimo è un ostacolo facilmente aggirabile tramite voli indiretti e ingressi clandestini. Non a caso in Campania i focolai si concentrano oggi nelle comunità degli stranieri. Più proficuo usare tamponi rapidi e controlli serrati che consentono in tre minuti e al costo di pochi euro di verificare un soggetto positivo».

Sono attendibili e specifici questi nuovi tamponi rapidi?
«Lo sviluppo lo si deve a ricercatori non medici dell'Università di Napoli e a un biotecnologo alimentare. Il sistema è già stato brevettato ed è già richiesto da molte aziende sanitarie. Potrebbe configurare una innovazione a basso costo molto proficua».

L'evoluzione epidemiologica della malattia è cambiata?
«Tocchiamo con mano una mutazione clinica, un'attenuazione intervenuta da un certo punto in poi. Un giro di boa coinciso con lo svuotamento delle rianimazioni e degli ospedali. Oggi l'impegno è indirizzato alla medicina di prossimità. La gestione della convivenza con il virus si fa nei territori. Per questo nei bollettini bisogna distinguere tra asintomatici e sintomatici e tra questi ultimi mettere a fuoco la gravità clinica. Serve per stimare il carico sul Servizio sanitario. Dobbiamo approfondire la conoscenza di questo virus che anche sull'immunità potrebbe dare una copertura anticorpale non duratura».

E dunque?
«Ogni epidemia ha un inizio e una fine come accaduto con la Mers e la Sars».

Questi virus non sono però divenuti pandemici come Covid 19.
«Anche le pandemie finiscono».

In altre parti del mondo il Coronavirus è in piena espansione.
«Hanno scelto strategie diverse dalla nostra ritardando o limitando il lockdown che da noi è stato lungo e totale».

Il lockdown è servito a mitigare la carica virale?
«Certo ma ad un costo molto alto che non possiamo permetterci di ripetere. Quindi dobbiamo convivere al meglio con questo virus proteggendo le fasce fragili e cambiando il modo di vivere e produrre altrimenti non finirà qui».

Cosa intende?
«Il rapporto con natura e ambiente è fondamentale e va ripensato profondamente. Non ci possono essere produzioni intensive di animali da macello dove peraltro si concentrano molti focolai, i mercati come quelli cinesi vanno aboliti, l'uso di pesticidi e di altri mutageni ambientali drasticamente limitati e vietati. La rinaturalizzazione delle città diventare una priorità degli amministratori come il tema dello sviluppo sostenibile. Queste le azioni sul piano politico generale di cui anche un paese come l'Italia si deve fare portatore. Poi agire sul fronte sanitario e della ricerca».

Perché a Nord e Sud due epidemie diverse?
«Il Nord Italia ha pagato pegno anche per le molte attività produttive che non si sono fermate, per la presenza di un inquinamento dell'aria pervasivo, per il disinvestimento sulla medicina del territorio, per l'alta presenza di anziani fragili. Lì il virus ha circolato di più e lì anche in autunno si rischierà di più. Ma certezze, sugli scenari futuri, non ne abbiamo. Sul piano clinico conta anche capire perché alcuni pazienti si ammalano e muoiono e altri no. Bisogna decifrare la fisiopatologia del virus. Oggi il Coronavirus come problema clinico si è attenuato. Monitoriamo il suo passaggio ma i danni quasi non li vediamo più».

Lo curiamo meglio o si è attenuato?
«Abbiamo migliori strumenti di cura sia precoci (idossiclorochina, antivirali ed eparina) sia in fase acuta di malattia (Tocilizumab e cortisone).
I protocolli si sono affinati. Fondamentale puntare sulla ricerca».

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