Napoli, la vedova dell'imprenditore suicida: «Temeva per la famiglia e gli operai»

Napoli, la vedova dell'imprenditore suicida: «Temeva per la famiglia e gli operai»
di Melina Chiapparino
Venerdì 8 Maggio 2020, 00:00 - Ultimo agg. 11:15
4 Minuti di Lettura

Il dolore di Anna Vanni, moglie di Antonio Nogara, è esploso in un pianto disperato davanti alla saracinesca della fabbrica dove l’uomo si è tolto la vita, martedì sera. Lei era lì quando i Vigili del fuoco hanno fatto irruzione nei locali in cui l’uomo si era blindato senza dare più sue notizie e spegnendo il cellulare. Fino a quel momento, la 56enne aveva cercato di convincersi che non poteva essere accaduto nulla di brutto al marito ma, in una manciata di istanti, il mondo le è crollato addosso portando via l’unico e più grande amore della sua vita. Durante quella scoperta straziante, Anna ha abbracciato la figlia con cui si era fatta forza nelle ore trascorse ad attendere notizie di Antonio e proprio la famiglia, ora, è l’unico rifugio dove lasciar parlare il proprio dolore. Dopo la tragedia, la moglie dell’artigiano si è rinchiusa in casa con i familiari più stretti. 
 

 

Lei e tutta la famiglia state vivendo una sofferenza straziante. Cosa sente di dire? 
«In questo momento c’è solo spazio solo per il dolore. Siamo tutti disperati e stiamo affrontando e condividendo questo momento di sofferenza intima in famiglia, chiedendo rispetto e riserbo per la nostra afflizione e per la tragedia accaduta. Abbiamo sentito molti commenti e dichiarazioni che erano lontane da ciò che è veramente successo e dalla realtà dell’uomo che era Antonio».

Può spiegare meglio cosa intende?
«Mio marito era una persona perbene, un gran lavoratore onesto e generoso. Si è impegnato per tutta la sua vita nel lavoro che amava, accudendo la famiglia e anche i suoi operai. Aveva un senso etico della sua professione che lo spingeva ad essere sempre rispettoso nei confronti degli operai e degli impegni che prendeva. Onorava la sua professione con spirito di sacrificio e non gli è mai mancata la volontà di fare e andare avanti». 

Eppure, il sindaco di Cercola, Vincenzo Fiengo che vi ha manifestato la sua vicinanza ha dichiarato che Antonio «soffriva di problemi di natura depressiva». 
«Ringraziamo il gesto del sindaco e l’attenzione che ci ha mostrato ma le nostre parole, evidentemente, sono state fraintese. Quando ho raccontato la tragedia di mio marito, ho riferito che c’erano stati dei momenti in cui si era sentito affranto e demoralizzato. Parliamo di un uomo che non si era mai tirato indietro di fronte alle responsabilità familiari e professionali ma che, come tutti, ha avuto dei momenti più difficili, questo non c’entra con la depressione». 

Quindi, Antonio non era depresso? 
«Mio marito non soffriva e non ha mai sofferto di depressione. Mi spiego ancora meglio. Antonio non aveva mai fatto cure nè era stato in terapia per problemi di questa natura. Non era un depresso ma era molto preoccupato come la maggior parte degli imprenditori e dei commercianti che, in questo momento, devono fare i conti con mille difficoltà per portare avanti le loro attività. Era capitato che parlasse di queste preoccupazioni ma, in realtà, il suo pensiero non era mai rivolto a sé stesso».

Cosa intende dire? 
«Le preoccupazioni di Antonio riguardavano gli altri. O meglio, prima di tutto la famiglia a cui mio marito si dedicava interamente e poi, con altrettanta dedizione, si preoccupava per i suoi operai. Era estremamente in pensiero per la ripresa dell’attività che aveva riaperto da pochi giorni ma si era messo subito a lavoro. Le angosce di Antonio sono le stesse che sentiamo ripetere da tanti commercianti e imprenditori che in questa fase, si trovano a fronteggiare grandi difficoltà economiche». 

Se la sente di dire che il gesto estremo di suo marito è stato, in qualche modo, collegato a queste preoccupazioni?
«Certamente. Il gesto di mio marito è stato causato dalle difficoltà legate all’ambito professionale. Ripeto che Antonio non soffriva di depressione ma era preoccupato per il futuro incerto che si prospettava a causa delle difficoltà lavorative. Del futuro gli interessavano solo due cose: la famiglia, io e nostra figlia, ed i suoi operai. Era molto preoccupato di garantire ai lavoratori le condizioni economiche per andare avanti. D’altronde, si è ucciso nella sua fabbrica, proprio il posto in cui aveva investito i sacrifici di una vita e che ora, era diventato la sua preoccupazione principale». 

Anna, le posso chiedere se c’è un messaggio che reputa importante trasmettere?
«Ci tengo che non passino messaggi sbagliati. Antonio Nogara non era ammalato ma era preoccupato e angosciato dal futuro. Era un lavoratore eccezionale e onorava sempre tutti i suoi impegni professionali con puntualità e precisione. Un altro messaggio che sento di trasmettere non riguarda solo la nostra famiglia ma tutte le famiglie che, come noi, si sono trovate improvvisamente senza nulla. Le istituzioni e il governo, spero si preoccupino anche di questo e di non lasciarci soli».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA