Napoli, l'amore ai tempi del Covid: Giuseppe e Maria, 62 anni di nozze in ospedale

Napoli, l'amore ai tempi del Covid: Giuseppe e Maria, 62 anni di nozze in ospedale
di Maria Chiara Aulisio
Lunedì 16 Novembre 2020, 23:30 - Ultimo agg. 17 Novembre, 11:07
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Sessantadue anni di matrimonio festeggiati in una camera della clinica Santa Patrizia di Secondigliano. Giuseppe De Luca, classe 1930, e Maria Marinelli, nata nel ‘34, non hanno voluto rinunciare nemmeno alle foto di rito scattate volentieri da uno dei tanti infermieri della casa di cura. Maria guarda l’obiettivo e sorride: per venire più bella ha indossato la sua vestaglia rosa nuova di zecca e - giusto il tempo di uno scatto - si è anche lasciata sfilare le cannule dell’ossigeno dal naso. Torta e brindisi virtuale - tra l’emozione e gli applausi dei medici bardati dalla testa ai piedi - e video ricordo inviato ai figli della coppia con un messaggio WhatsApp.

«È stata una giornata straordinaria per noi e per loro. - racconta Clara Ugliano, anestesista, referente della clinica Santa Patrizia - Quando sono arrivati qui, lo scorso 8 novembre, erano entrambi affetti dal Covid. Per fortuna avevo una camera singola a disposizione. Non ho esitato un solo istante a ricoverarli insieme: separarli sarebbe stato troppo doloroso e li avrebbe resi ancor più fragili nella lotta al virus che si preparavano a combattere». Ora stanno abbastanza bene, Giuseppe e Maria, di certo hanno superato la fase più acuta della malattia e si avviano verso la guarigione. Come e da chi siano stati contagiati è difficile dirlo, certo è che grazie alle cure del personale sanitario della clinica di Secondigliano la coppia di “sposini” ha avuto la meglio sul virus in meno di dieci giorni: «Devono rifare il tampone ancora una volta - spiega la dottoressa Ugliano - in ogni caso ci sentiamo abbastanza ottimisti: se tutto continuerà ad andare per il verso giusto a breve potranno anche fare ritorno a casa». Sono sereni, gli arzilli coniugi, sorridenti e accomodanti: lei che lo segue con lo sguardo in ogni sua mossa, lui che fa altrettanto pronto a chiamare aiuto appena si accorge che Maria potrebbe averne bisogno. «Quando sono arrivati - aggiunge l’anestesista, che gestisce anche la clinica Villa delle Querce in via Battistello Caracciolo - non riuscivano nemmeno a mangiare da soli: erano molto deboli e sofferenti ma si capiva che avevano la grinta giusta per farcela».

Nessun problema, dunque, la parola d’ordine è resistere: a imboccarli, e ad accudirli, i medici e gli infermieri della “Santa Patrizia” che hanno subito preso a cuore la coppia di anziani assistendoli come avrebbero fatto con i loro genitori.  

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Al loro arrivo si è messa in moto una vera e propria macchina della solidarietà. Un impegno che sta andando ben oltre l’assistenza medica dovuta, il protocollo e le terapie di rito: «Non pensavo che questa esperienza mi avrebbe dato tanto - aggiunge la responsabile della casa di cura di Secondigliano - quando per la seconda volta mi è stato chiesto di trasformare la clinica Santa Patrizia in centro Covid, ho subito accettato: l’avevo inteso come un atto di responsabilità in un momento di grande emergenza per tutti noi e invece si sta rivelando un momento irripetibile dal punto di vista umano». La dottoressa parla del rapporto che si stabilisce con gli ammalati affetti dal Covid. Il fatto che nessun parente possa essergli accanto contribuisce a creare un legame ancora più profondo con il personale sanitario che - oltre alle proprie mansioni - si sostituisce come può alle famiglie: «Non possiamo far finta di non sapere che questi pazienti arrivano, e vanno via, in assoluta solitudine - conclude Clara Ugliano - la nostra professionalità, e prima ancora la nostra coscienza, ci impongono di star loro vicino come farebbe un parente. L’altro giorno siamo andati a comprare pigiami e biancheria a chi ne aveva bisogno. Il Covid è anche questo».

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