Napoli, l'odissea di una famiglia in quarantena: «In sette in ottanta metri quadri, ​così conviviamo con il Covid»

Napoli, l'odissea di una famiglia in quarantena: «In sette in ottanta metri quadri, così conviviamo con il Covid»
di Maria Pirro
Mercoledì 14 Ottobre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 11:01
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In sette in 80 metri quadrati, convivono con il Covid. Il capofamiglia, pensionato 71enne che si è ammalato per primo ed è poi stato trasportato nel reparto di terapia sub-intensiva al Loreto Mare. Sua moglie, casalinga, qualche giorno dopo risultata positiva al tampone, la figlia che ha chiamato a ripetizione la Asl per segnalare i sintomi fino a ottenere l’esame a domicilio, la nipote più piccola: pure colpita dal coronavirus. Ma gli altri tre - cognato, figlio e la ragazzina maggiore -, negativi al test, devono ripeterlo: sono comunque in quarantena nello stesso appartamento, al rione Traiano, dove gli spazi ristretti rendono maggiore la possibilità di contrarre l’infezione, nonostante le regole d’igiene applicate con rigore. 

 

Ad esempio. La tavola è divisa a metà: da un lato, si siedono i contagiati; dall’altro, i restanti. Utilizzano quasi esclusivamente piatti di plastica. E, in bagno, accanto al lavandino e ai fazzolettini di carta che hanno sostituito gli asciugamani, c’è l’Ace candeggina pronto per l’uso compulsivo.

Ridisegnati per necessità anche gli spazi per la notte, come racconta Antonio Pastore, 46enne, emigrante di ritorno da Modena, esperto nel restauro del marmo ma da 12 mesi disoccupato. «Io, che non ho il Covid-19, dormo in cucina, in questo letto pieghevole», invia la foto, visto che non può incontrare nessuno, aggiungendo che anche le camere sono divise in base alla diagnosi: da un lato, sono raggruppati i sani; dall’altro i malati. Ma, da quando la pandemia è entrata in casa loro, i rimedi fai-da-te comunque non bastano 

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«Solo il medico della Asl che si occupa del monitoraggio sanitario, ci contatta con regolarità», spiega Pastore. «Ci sentiamo abbandonati dalle istituzioni, ma siamo fortunati perché stiamo uniti, e ci aiutiamo a vicenda». Antonio ha altre due sorelle che abitano non lontano, per conto proprio: una di loro è in quarantena, per un ulteriore caso in famiglia; mentre l’altra provvede a fare la spesa per tutti. «Ce la lascia sul balconcino», spiega Pastore, aggiungendo che quello sbocco esterno è ridotto a immondezzaio. «I sacchi dei rifiuti aumentano giorno dopo giorno, perché gli addetti al servizio speciale dovrebbero ritirarli due volte a settimana ma si sono visti giovedì scorso per l’ultima volta». E questo non è l’unico problema riscontrato dal 28 settembre, «ossia da quando ho accompagnato mio padre al pronto soccorso del San Paolo. Alle tre di notte, per il test rapido. Un lunedì, ma da noi gli operatori dell’Asl sono venuti a eseguire l’esame il giovedì successivo, dopo aver insistito parecchio e inizialmente senza prevederlo per tutti». Chi ha contagiato chi, «è difficile dirlo», spiega Antonio, che lancia un appello ma per gli altri: «Penso agli anziani che hanno il Covid e sono soli oppure a quelle coppie rimaste senza occupazione e in locali decisamente più piccoli». Pastore al di là delle parole con la sua famiglia ha già dimostrato di avere una sensibilità diversa: durante la prima ondata, il 46enne ha partecipato alla distribuzione di alimenti con i volontari dello “Scarrupato”. Nel centro storico e al centro di una storia solidale, personale e collettiva. «In quel periodo le istituzioni non erano presenti, e non lo sono ora. C’è gente in grande difficoltà, che non sa come andare avanti».
 

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