Coronavirus a Napoli, il medico: «Sono uscito dal tunnel, ma è davvero dura»

Coronavirus a Napoli, il medico: «Sono uscito dal tunnel, ma è davvero dura»
di Ettore Mautone
Mercoledì 1 Aprile 2020, 23:04 - Ultimo agg. 2 Aprile, 12:35
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Pasquale Caiazzo, primario di Neurochirurgia del Cardarelli, dopo 15 giorni di ricovero nella rianimazione del Policlinico Federico II, è risultato ieri negativo al primo tampone al Covid-19. Oggi dovrebbe avere dunque, al secondo test in 24 ore, la conferma di essere guarito dal virus. 

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Come ci si sente dopo 15 giorni di assistenza in rianimazione? 
«È come tornare alla luce dopo un lungo tunnel. Questo virus ti prende alle spalle e nel volgere di poche ore, avanzando tra febbre e tosse, è capace di stravolgere ogni cosa. È accaduto a me come cittadino ammalato, come medico ma lo sta facendo anche nei confronti della nostra società».

Come si è accorto di essere ammalato?
«Avevo appena finito di operare. Ero esausto, non riuscivo ad alzarmi dalla sedia. Ho misurato la temperatura, avevo 38,5. Pensavo fossero i postumi della convalescenza. Da poche settimane avevo subito un intervento delicato praticato tuttavia con procedura mini-invasiva che mi ha consentito di tornare subito al lavoro». 

E poi? 
«Ho sospettato qualcosa collegando il fatto che da giorni avevo una strana congiuntivite secca. Ho chiesto di praticare un tampone al Cardarelli. Sono andato nella tenda del pre-triage al pronto soccorso». 

È andato via con le sue gambe? 
«Con la mia macchina. Sono tornato a casa. La sera a mezzanotte mi ha chiamato il sindaco Luigi de Magistris per avvertirmi che ero positivo. Pensavo di migliorare ma al mattino la febbre era salita a oltre 40. Ho chiamato più volte il 118. Alla fine mi hanno trasportato al Policlinico. La rianimazione era vuota e in allestimento per i Covid».

Come si sentiva? 
«Male, in poche ore ero passato dal pieno benessere a una condizione di forte desaturazione di ossigeno. Una sensazione bruttissima, ho mantenuto il sangue freddo». 

Ha fatto la terapia con il Tocilizumab?
«No ma ho assunto immediatamente gli antivirali, il Kaletra e l’idrossiclorochina e sono migliorato. Dopo uno o due giorni ero senza febbre. I primi giorni sono stati terribili. Erano quasi sul punto di intubarmi. Non sopportavo il casco e hanno optato per l’ossigenazione intranasale ad alti flussi». 

Ora come va la respirazione?
«Sono stato due settimane in rianimazione e ora sono nella terapia sub intensiva creata nelle sale operatorie del centro trapianti. Un’ottima funzionalità per una equipe che ha lavorato benissimo. Anche gli operatori e gli infermieri pur non essendo di reparti infettivi hanno avuto un’attenzione massima. A ogni manovra cambiano i guanti e le mascherine. Davvero bravi. Non avrei mai immaginato la quantità di dispositivi di protezione necessari per un paziente Covid». 

Gli ospedali rischiano di diventare il fronte del contagio? 
«Test e tamponi periodici e protezioni con mascherine e tute sono indispensabili per fronteggiare l’epidemia. Covid-19 è un virus nuovo e subdolo. Ti pervade da un momento all’altro. È come stare sempre sul filo di un rasoio. Fare una diagnosi clinica è anche complicato in un periodo influenzale». 

Come si vince questa guerra?
«Restando a casa, non muovendosi ed evitando di abbassare la guardia, proteggendo l’ambiente sanitario e considerando che possono esserci tanti contagiati asintomatici. Ho apprezzato il rigore del governatore De Luca. È riuscito a porre un freno alla sottovalutazione e nonostante ciò continua la registrazione di casi positivi. In ospedale bisogna avere le adeguate protezioni. Quando si torna a casa bisogna stare attenti, cambiarsi e lavarsi spesso».

Ha contagiato i suoi familiari? 
«Per fortuna no. Mia moglie e mio figlio che abitano con me mi hanno salutato e abbracciato ma sono risultati negativi».

Ha sentito i suoi colleghi?
«Sì, mi hanno inviato molti messaggi, Il Cardarelli è stato molto colpito».

La qualità più tragica e la più lieta di questa esperienza?
«Quella tragica è la percezione della imprevedibilità della malattia, la disumanità del virus: ho visto giovani e sani perdere ogni contatto e finire nei sacchi, senza neppure avere il funerale.

Umanamente ti sconvolge. Sono provato e ne esco un po’ cambiato. La nota lieta è che lo possa raccontare».

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