Coronavirus a Napoli: «Calvario di attese e ritardi, così è morto nostro padre»

Coronavirus a Napoli: «Calvario di attese e ritardi, così è morto nostro padre»
di Francesca Mari
Sabato 14 Novembre 2020, 23:34 - Ultimo agg. 15 Novembre, 16:43
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Una vita tra lavoro e famiglia, operatore ecologico attento e puntuale, e adesso, a 65 anni, il desiderio di godersi i nipotini. E invece il destino è stato tragico. Gennaro Iovine, di Ercolano, è stato ucciso dal Covid non prima di aver percorso un lungo calvario. L’attesa del ricovero, il ritardo dei mezzi di soccorso, il «parcheggio» in Pronto soccorso prima del trasferimento in reparto, l’incertezza delle cure. Una storia, quella di Giovanni, che è la storia di tanti che hanno perso la vita o tuttora combattono contro l’aggressività del virus; storie che si dimenano tra ospedali in affanno, le ore in ambulanza o in auto in attesa del ricovero, la carenza di posti letto, le corse contro il tempo, le ansie e le paure. Scene viste e riviste nei giorni scorsi fuori e dentro gli ospedali napoletani e che contrastano con l’abnegazione di medici e infermieri che ogni giorno combattono una guerra di trincea facendo fino in fondo il proprio dovere. 

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LA TESTIMONIANZA
I familiari di Gennaro Iovine, noti commercianti dello storico mercato di Resina a Ercolano, morto lo scorso 9 novembre in terapia intensiva all’Ospedale del Mare di Ponticelli dopo una travagliata via Crucis, sono affranti, non si rassegnano al dolore. Se i soccorsi fossero stati più tempestivi, Gennaro si sarebbe potuto salvare? È una domanda che angoscia la famiglia Iovine ed è la stessa che si pongono i familiari delle tante, troppo vittime di questa pandemia. È una domanda che meriterebbe certamente una risposta, ma partendo dalla premessa che per tutti, anche per Gennaro, è stato fatto tutto il possibile. «Andremo fino in fondo - dicono i figli Aniello, Ciro e Nunzia -.

Abbiamo già richiesto le cartelle cliniche, vogliamo capire se e come papà è stato assistito. Nostro padre non lo riavremo indietro ma ci battiamo perché vogliamo che non succeda agli altri quanto è successo a noi. Ci siamo sentiti abbandonati». Sono distrutti, i figli di Gennaro, ma hanno la forza di ripercorrere dall’inizio una storia che ha stravolto la serenità della famiglia. «Papà era diabetico e aveva avuto problemi cardiaci - raccontano -. Ma stava bene, fino a quando a metà ottobre ha avuto febbre alta, problemi respiratori e dolori alla schiena. Il 21 ottobre abbiamo deciso di ricoverarlo. Ma c’era il caos più totale. Abbiamo chiamato il 118 e dalla centrale operativa ci hanno risposto che l’ambulanza non sarebbe arrivata prima di sei ore. Abbiamo messo papà in auto e l’abbiamo accompagnato in ospedale».

In fila, come tanti, fuori agli ospedali perché sono numerosi i familiari, presi dal panico, che accompagnano i malati con mezzi propri. «Giunti al Pronto soccorso dell’Ospedale del Mare, lo sbando più totale. In un primo momento ci hanno chiesto di riportare papà a casa. Poi lo hanno sistemato in un’area promiscua, dove c’erano anche i no-Covid, e lo hanno sottoposto a un test rapido. Poco dopo abbiamo saputo che era positivo. Inoltre - raccontano i figli - gli hanno fatto una tac toracica che ha rilevato la polmonite. La situazione era critica. Papà è rimasto in quell’area per ore. I medici ci hanno assicurato che il giorno dopo avrebbe fatto il tampone e sarebbe stato trasferito in reparto». 


IL RICOVERO
Ma dal racconto dei figli le cose sarebbero andate diversamente. «Il tampone gliel’hanno fatto cinque giorni dopo ed è risultato positivo. In quel lasso di tempo è rimasto in una stanza del Pronto soccorso, da solo. Papà era moralmente e fisicamente distrutto. Ci chiamava per chiederci aiuto, voleva che lo portassimo via. E invece non lo trasferivano in reparto perché, dicevano, non c’erano posti. Dopo sei giorni abbiamo saputo che lo avevano intubato, sempre al Pronto soccorso, fino al trasferimento tardivo in Rianimazione dove è morto. Ci hanno detto, prima che morisse, che aveva anche problemi ai reni. Ma non ci risulta. Non riusciamo a farcene una ragione, vogliamo la verità», è lo sfogo dei figli che vogliono contattare i familiari di altre vittime del Covid per creare un comitato.

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