Coronavirus a Napoli, il San Gennaro di Lello Esposito arriva al Cotugno: «I malati non perdono la fede»

Coronavirus a Napoli, il San Gennaro di Lello Esposito arriva al Cotugno: «I malati non perdono la fede»
Giovedì 16 Aprile 2020, 16:25 - Ultimo agg. 18:46
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Un grande busto di San Gennaro in bronzo, con uno sguardo intenso, rivolto da oggi verso l'edificio dell'Ospedale Cotugno, il centro principale della lotta al coronavirus a Napoli e in Campania. Lo sguardo del santo protettore di Napoli si è posato oggi sull'ospedale grazie a Lello Esposito, artista partenopeo che ha deciso di spostare la grande statua da 20 quintali dal suo studio in Piazza San Domenico e portarla davanti all'ospedale dove resterà per tutta l'emergenza covid19. «Mi sembrava giusto che questi occhi di San Gennaro - spiega Esposito - dalle viscere del centro di Napoli salissero qui, nella parte più alta della città. È un segno in questo momento in cui tutti noi riusciamo a vedere solo gli occhi degli altri per la mascherina e lui guarda da oggi l'ospedale che è un'eccellenza da sempre e in cui oggi si combatte il virus».

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Esposito ha organizzato lo spostamento dell'imponente statua con un camion che sotto il sole primaverile di Napoli ha portato il santo nel giardino all'ingresso dell'ospedale dove la scienza combatte il coronavirus ma dove ogni malato aspetta anche un miracolo: «Il miracolo - dice l'artista - è prima di tutto dentro di noi, scatta con la solidarietà in questo momento difficile che ha colpito non solo la nostra città ma il mondo intero». Ad aspettare San Gennaro tanti medici e infermieri, insieme al direttore generale del Cotugno Maurizio Di Mauro: «Uno dei tanti gesti di solidarietà - dice - di questa meravigliosa città. Sono tutti vicini a questi angeli, questi eroi che stanno affrontando la pandemia con tutto l'impegno. Il maestro Lello Esposito ha pensato agli occhi di San Gennaro, occhi che guardano Napoli e in questo caso il Cotugno e i suoi ammalati, , ma guarderanno gli ammalati di tutta la Campania, sperando che possa darci quell'incoraggiamento ancora maggiore per vincere questa guerra». Una guerra che è tipica del Cotugno, ospedale che Lello Esposito conosce bene: «Mia mamma lavorava qui - racconta - ricordo il periodo del colera, ci sono tornato indietro con la mente entrando oggi. Mia madre era qui 24 ore, sempre, perché quando ci fu l'emergenza colera i sanitari non tornavano a casa, non potevano uscire dall'ospedale, vivevano qui. Il Cotugno non è un'eccellenza solo in questo momento ma lo è da sempre». Ad accogliere la statua anche Padre Antonio Vellutino, cappellano del Cotugno: «Il Cardinale Crescenzio Sepe - spiega - ha affidato la città all'immagine di San Gennaro, questa immagine ora qui al Cotugno fino al termine dell'epidemia che speriamo sia presto. Oggi lo accogliamo recitando la preghiera scritta proprio da Sepe. A San Gennaro tutti chiediamo una intercessione, il miracolo che possa scomparire la pandemia in modo che tutti possiamo uscire da questo momento terribile».

 

«Ho incrociato lo sguardo di qualcuno che dal reparto di degenza veniva portato alla terapia semintensiva: avevano il casco, ho avuto con loro uno sguardo toccante, perché immagini che le persone che passano da una salute che va benino alla sub intensiva capiscono la precarietà della vita e il loro sguardo intende dire 'che succede ora?'». ha poi detto Padre Antonio Vellutino ai giornalisti presenti. 
 
 

Padre Antonio è al Cotugno da 16 anni, ma sta vivendo sicuramente la fase più intensa e difficile della sua esperienza. «Quegli sguardi - racconta - mi hanno colpito e mi hanno dato anche angoscia. Però due persone di cui ho incrociato questo tipo di sguardo poi sono guarite». La vita nel Cotungo per il cappella è un incrocio di desideri e preghiere: «I pazienti - dice - sanno di essere in una situazione abbastanza grave e chiedono sostegno morale, psicologico, chiedono quando mi vedono una preghiera, una benedizione fatta anche simbolicamente attraverso il vetro. Sto sentendo molto mio in questo periodo anche il rapporto con il personale dell'ospedale, in particolare con le persone della direzione sanitaria: questa situazione ha sconvolto tutti, siamo a terra e con loro dopo tanti anni nell'emergenza ci siamo ritrovati a guardarci negli occhi, perché fa paura a tutti questa situazione e ci siamo ritrovati come amici e con la spiritualità che portiamo dentro per sostenerci insieme».

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Il rapporto dei pazienti con la fede, spiega Padre Antonio, «non è cambiato, in questo momenti di sconforto e paura la gente anche se ha poca frequenza con la fede è più presa.
Tutti quelli che ho incontrato non li ho sentito lontani dalla fede o disperati o che si sono sentiti abbandonati». Con i pazienti e i sanitari il cappellano ha vissuto anche la Pasqua ai tempi del covid19: «Non potendo portare ramoscelli di ulivo e acqua santa nei reparti come faccio ogni anno, con gli infermieri e i capo servizio abbiamo passato in rassegna i reparti, facevo la benedizione davanti alle porte e poi ho benedetto l'acqua in modo che ognuno dei sanitari potesse portarla a casa dalle loro famiglie per un segno di benedizione da parte del capo famiglia».
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