Covid a Napoli, ristoratori e partite Iva chiamati a raccolta: ma alla protesta partecipano solo in trenta

Covid a Napoli, ristoratori e partite Iva chiamati a raccolta: ma alla protesta partecipano solo in trenta
di Paolo Barbuto
Lunedì 23 Novembre 2020, 23:00 - Ultimo agg. 24 Novembre, 12:43
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Allo scoccare delle 17 davanti al palazzo della Regione ci sono in totale due manifestanti, la presenza di 20 giornalisti e cinquanta poliziotti evita l’imbarazzo del deserto totale, simbolo del flop della manifestazione che avrebbe dovuto far sentire la voce e il dolore di partite Iva, dipendenti e ristoratori.
Dopo una mezz’oretta i partecipanti sono saliti a trenta, impossibile chiamarla manifestazione, è una specie di riunione di condominio fra persone che si raccontano disagio e difficoltà per un momento storico che sta mettendo in ginocchio tutti, in particolar modo i ristoratori.

Solo in strada, davanti al palazzo di Santa Lucia si chiarisce il mistero del volantino senza firma di chiamata alla protesta che è stato diffuso, a ripetizione, negli ultimi giorni, sulle chat dei commercianti e dei ristoratori: è un’iniziativa nata da un gruppo whatsapp di ristoratori che dopo essersi scambiati preoccupazione e disperazione hanno deciso di passare ai fatti convocandosi davanti alla sede della presidenza regionale a Santa Lucia. «Siamo stati noi a far nascere l’idea e a diffondere il volantino», spiegano con amarezza Roberto Napoli del ristorante vomerese “MangiaNapoli” di via Bernini e Gerardo Coppola che gestisce il “Wawe” a via Girolamo Santacroce. Insomma, nessuna matrice politica, nessun partito, niente movimenti di contestazione, solo e semplicemente un gruppo di commercianti e ristoratori che ha tentato di farsi sentire: «Lo so, è triste che ci sia poca gente - ammette Roberto Napoli - ma noi non siamo lavoratori, passiamo le giornate nei nostri locali, non sappiamo come si organizzano le manifestazioni di protesta. E siamo anche persone perbene, non riusciamo nemmeno a ipotizzare un accenno di violenza per far sentire le nostre voci. Eccoci, siamo qui in pochi e disperati».

 


Telecamere e reporter si affannano a cercare, tra le poche persone, qualcuno che abbia voglia di far capire cosa succede. Adesso che s’è appurato che dietro la chiamata alla protesta non c’è volontà di dare spallate politiche, sul tavolo, anzi sulla strada, restano solo le recriminazioni un po’ sgangherate di un gruppo di persone che non riesce a vedere una luce in fondo al tunnel. La polizia osserva da lontano, non c’è nessun pericolo di tensione sicché quel modesto assembramento viene tollerato perché s’è capito che durerà pochissimo.
C’è una coppia di contestatori che espone lo striscione “Stamm ca”, simbolo di protesta già visto in questi giorni difficili. I contestatori solitari, però, tengono a precisare di non avere nulla a che spartire con la manifestazione convocata dai ristoratori, si trovano lì perché hanno appuntamento con la troupe di una trasmissione televisiva del pomeriggio, ma approfittano per far sentire anche le loro proteste identiche, purtroppo, a quelle di migliaia di altri commercianti e piccoli imprenditori di tutt’Italia.

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Il piccolo gruppo di ristoratori non ha uno striscione né un cartello «non abbiamo nemmeno un nome perché non ci siamo riuniti in associazione», sorridono a un certo punto. Insomma, lontani dal mondo della politica e dell’associazionismo, ieri sera avrebbero voluto essere ascoltati dalla Regione «solo perché possa portare a Roma, al governo, le nostre preoccupazioni e i nostri dubbi», spiegano Napoli e Coppola.
Vorrebbero anche spiegare che i ristori sono una goccia nel mare delle difficoltà economiche, però non è questo il motivo della protesta. Se fossero stati in centinaia avrebbero urlato una sola cosa: «Vogliamo certezze». La questione è chiarita perfettamente da Roberto Napoli: «Noi chiediamo solo di sapere quando potremo ripartire e per quanti giorni consecutivi potremo farlo. Un ristorante non può fermarsi e ripartire come un qualunque negozio, noi dobbiamo riaccendere le cucine, rifornire le dispense predisporre i menù: farlo per soli venti giorni, a Natale, sarebbe assurdo. Se anche ci venisse offerta questa possibilità io certamente non riaprirei, preferisco attendere il momento in cui la ripartenza sarà definitiva».
 

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