«Coronavirus, io in Rianimazione
4 mesi; tornare a casa è rinascere»

«Coronavirus, io in Rianimazione 4 mesi; tornare a casa è rinascere»
di Ettore Mautone
Venerdì 7 Agosto 2020, 10:46
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Giuseppe Ascione, 55 anni, anestesista del Loreto mare, si ammala di Sars Cov 2 il 18 marzo scorso, all'ospedale San Paolo: la tosse e un po' di raffreddore i primi sintomi che non sembrano impensierire il clinico. Infatti, in quei giorni, fa anche ritorno a Ischia dove risiede. Poi la situazione peggiora. Da qui il ricovero al Rizzoli, ospedale dell'isola - dove rimane 40 giorni in rianimazione - e il successivo trasferimento a Pozzuoli. Da quell'ospedale, Ascione, è stato dimesso solo ieri, dopo quattro mesi di terapia intensiva. È lui stesso a raccontare una storia drammatica, ma al tempo stesso a lieto fine, e che adesso continua con un percorso di riabilitazione al Clinic center di Fuorigrotta. «Avvertii i primi sintomi dell'infezione mentre rientravo dal servizio all'ospedale San Paolo dove ero stato trasferito da alcuni giorni in supporto all'unità di pronto soccorso e di rianimazione. Un collega era già risultato positivo: mi fecero subito il tampone. Avevo anch'io contratto l'infezione, con tutte le precauzioni del caso riuscii a rientrare a Ischia dove sono residente. Mi misi in quarantena assumendo a domicilio la terapia a base di idrossicolorochina e un antibiotico. Sono vedovo e vivo da solo con mio figlio. Il 21 marzo, per evitare di creare problemi a casa, e per perfezionare la cura, mi recai all'ospedale Rizzoli di Ischia. Dopo pochi giorni, il 28 marzo, i colleghi mi dissero che avevo una grave polmonite e dovevo essere intubato. Da anestesista sapevo perfettamente il significato di quella situazione. Ho 55 anni, ero perfettamente sano. Credevo di restare solo pochi giorni in ospedale e, invece, da quel momento la mia vita ha preso una piega drammatica ponendomi in un tunnel che sembrava senza fine».

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I TRASFERIMENTI
Per liberarsi dal virus Ascione ha dovuto attendere il 12 maggio, dopo aver praticato tutti i protocolli di cura più innovativi, dal Tocilizumab al plasma iperimmune ma poi sono sorte gravi complicazioni renali e polmonari. «Sono molto provato - conclude - sia sul piano fisico che psicologico. Devo ringraziare i colleghi e l'organizzazione della Asl Napoli 2 Nord che, tra Ischia e Pozzuoli, hanno lavorato notte e giorno in maniera sinergica per salvarmi la vita senza mai mollare anche quando tutti mi davano per spacciato. E devo ringraziare anche mio fratello, e il resto della mia famiglia, che ha lottato con me. Solo dopo molte settimane ho saputo che anche mia sorella si era ammalata, e pure lei ha lottato tra la vita e la morte al Rizzoli: fortunatamente è guarita. Non le ho trasmesso io il virus ma abbiamo vissuto la stessa esperienza». A raccontare nei dettagli le lunghe settimane in cui Giuseppe è stato sedato e legato a un respiratore automatico senza poter comunicare o vedere i suoi familiari, è suo fratello Enrico, otorino dell'ospedale San Gennaro. «Siamo vicini di casa - spiega - nel periodo del suo ricovero l'ho visto solo un paio di volte per le stringenti norme relative all'assistenza negli ospedali Covid. Ricordo che la situazione precipitò nell'arco di un paio di giorni trasformandosi in un calvario di cui non vedevamo mai la fine. Mio fratello è stato intubato il 28 marzo e, da allora, solo ieri è uscito dalla rianimazione di Pozzuoli. Un decorso interminabile tra alti e bassi, sempre attaccato a un ventilatore. Molte volte in questi mesi i medici hanno tentato di togliergli l'assistenza con l'ossigeno ma non si riusciva mai a liberarlo del tutto. Ora la cura continua con la riabilitazione. Sicuramente avrà delle conseguenze a lungo termine ma è vivo ed è ritornato da noi e siamo felicissimi».

GLI IMPREVISTI
Il percorso di cura si è presentato lunghissimo e travagliato. Ascione ha contratto un'ulteriore infezione di tipo polmonare batterico e, a causa del prolungato ricorso alla ventilazione forzata, ha presentato anche un'insufficienza renale che ne ha determinato il trattamento in dialisi. Nel corso delle settimane è stato trattato con tutte le cure che di giorno in giorno si affacciavano alla clinica sperimentale contro il Covid. «Fondamentale per la negativizzazione di mio fratello al Coronavirus è stato il ricorso al speroiperimmune che fu fatto arrivare da Mantova quando qui in Campania iniziava l'iter per l'autorizzazione della procedura. Il trasporto a Pozzuoli fu indispensabile appena comparvero le complicazioni e fu necessario tracheostomizzarlo. Qui l'unità di rianimazione di Francesco Diurno ha fatto l'impossibile per salvarlo. In famiglia non ci speravamo più. Anche quando è finalmente risultato negativo al Covid-19 le sue condizioni cliniche continuavano ad essere critiche per tutti gli altri problemi collegati alla malattia e alla lunga ospedalizzazione. Un caso unico in Italia».
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