Covid a Napoli, intervista al primario Gentile: «Nove ricoverati su dieci sono senza vaccino, allarme per le donne in gravidanza»

Covid a Napoli, intervista al primario Gentile: «Nove ricoverati su dieci sono senza vaccino, allarme per le donne in gravidanza»
di Lorenzo Calò
Venerdì 17 Settembre 2021, 07:00 - Ultimo agg. 18 Settembre, 09:27
3 Minuti di Lettura

Professor Ivan Gentile - ordinario di Malattie infettive e direttore dell'Uoc di Malattie infettive del policlinico universitario dell'università Federico II - davvero l'epidemia sta rallentando o dobbiamo temere un'altra ondata?
«Nel corso di questi mesi è sensibilmente cresciuto il volume delle dosi di vaccino a disposizione e si è progressivamente rafforzata la capacità operativa dei centri vaccinali. Il collo di bottiglia oggi è purtroppo rappresentato da chi rifiuta il vaccino, sia perché è contrario sia perché è impaurito».

La preoccupa il rallentamento della campagna vaccinale?
«Il dato sembra ormai omogeneo in tutta Europa: permane una quota di resistenti e dunque approvo la scelta del governo di estendere il Green pass».

Qual è il paziente-tipo nel suo reparto?
«Il 90 per cento è costituito da pazienti non vaccinati.

E poi, dispiace dirlo, molte donne in gravidanza purtroppo non coperte da immunizzazione».

Le donne in gravidanza sono a rischio?
«Rientrano nella categoria soggetti fragili e poi registriamo una tendenza alla esitazione vaccinale delle donne in gravidanza perché temono danni nel prosieguo della gestazione».

Ed è un timore fondato?
«Assolutamente no. Anzi, dati recentissimi in nostro possesso, corroborati da robusti studi e analisi anche negli Usa, dimostrano proprio il contrario: non c'è alcun rischio neppure nella fase più delicata che può considerarsi quella del primo trimestre».

Sono cambiati negli ultimi mesi i protocolli terapeutici per i pazienti Covid?
«In un anno e mezzo la letteratura medica al riguardo si è ampliata e arricchita. Rispetto a marzo 2020 abbiamo acquisito conoscenze e tecniche di approccio validate da migliaia di casi osservati».

Per esempio?
«Per esempio non vanno assolutamente somministrati nelle forme lievi né gli antibiotici né i cortisonici. Ma abbiamo sviluppato anche armi potenti che vanno usate in maniera intelligente e appropriata».

Quali armi?
«Gli anticorpi monoclonali che consentono di trattare anche pazienti fragili, convocati in ospedale, sottoposti a specifico trattamento e poi rimandati a casa per osservarne l'evoluzione clinica. I monoclonali sono la nuova frontiera».

Con quali risultati?
«In larghissima misura positivi. È chiaro però che è necessaria una interazione tra struttura ospedaliera e medicina territoriale. Sono i medici di base che devono segnalarci i casi su cui intervenire per fare in modo che questi pazienti siano convocati da noi, sottoposti a trattamento e poi seguiti. Gli elementi determinanti sono l'interazione, il monitoraggio e la tempestività delle cure ospedaliere che devono essere quanto più precoci possibile rispetto all'eventuale sviluppo della malattia».

Il fattore età è un deterrente?
«Pochi giorni fa abbiamo trattato con i monoclonali presso il Centro da me coordinato una paziente di cento anni: ora sta bene».

Al momento quanti posti letto sono occupati nel suo reparto da pazienti Covid?
«Sei su dieci. Si tratta di pazienti a bassa intensità ma in qualche caso trattiamo anche malati in sub-intensiva».

È ottimista sulle capacità di risposta terapeutica?
«I casi vanno valutati singolarmente. Esiste, certo, la malattia ma esiste soprattutto l'ammalato. Ecco, dobbiamo impedire al virus di premere il grilletto».

© RIPRODUZIONE RISERVATA