Covid a Napoli, la stanza degli abbracci al Cotugno: «Ho rivisto mamma tra le pareti di cellophane»

Covid a Napoli, la stanza degli abbracci al Cotugno: «Ho rivisto mamma tra le pareti di cellophane»
di Antonio Menna
Sabato 17 Aprile 2021, 09:00 - Ultimo agg. 18:48
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Figli che partoriscono i genitori, su questa terrazza battuta dal vento freddo che arriva dal Matese. Sui tetti dell'ospedale Cotugno, tornano al mondo gli anziani storditi da settimane di isolamento nelle corsie d'ospedale, di tute spaziali a immaginare la vita, di gorgheggi di ossigeno, di maschere, di aria che manca. Qui il Covid, come il diavolo durante un esorcismo, si contorce sotto i colpi della speranza, e in un cubo magico di cellophane e tubi si allineano i colori della rinascita. «Pensavo che non li avrei più rivisti», dice una giovane donna che, accompagnata dal marito, arriva per incontrare, dopo un mese e mezzo, in quella che è stata chiamata la stanza degli abbracci, i due genitori anziani, ricoverati a inizio marzo e mai più incontrati. Batte i denti dal freddo, sbircia dietro il sipario. «Eccoli, arrivano». Ma è un falso allarme. «Emozione incredibile», sussurra. Poi spuntano davvero. Prima la mamma. Sedia a rotelle, vestaglia, pantofole. Si intuisce sotto la mascherina un sorriso che spacca il cuore. 

 

La ragazza si precipita verso il cellophane, si inginocchia. Altro che abbracci - sono i primi della stanza al Cotugno -, questa è la terrazza delle lacrime. Gli occhi diventano lucidi: il caposala, le infermiere, il professore. «Mamma», riesce solo a dire la ragazza, mentre all'improvviso compare anche l'altra sedia a rotelle. È il papà. Una coperta marrone fino al collo, dietro la carrozzina una bombola di ossigeno. I due genitori si tengono vicini. «Sono ricoverati insieme», bisbiglia Loredana Lapia, infermiera. «Li abbiamo messi nella stessa stanza». Facciamo tutti un passo indietro, per non violare quel momento così atteso, così intimo. Le dita infilate nelle barriere per un contatto. Perfino i silenzi hanno qualcosa da raccontare. «È una cura - dice Raffaele Dell'Aversano, direttore sanitario del Cotugno -.

Si guarisce anche con le emozioni. Questo incontro vale moltissimo». È la vera terapia intensiva, l'improvviso contatto umano. Dura poco - quindici minuti - ma il saluto finale è aperto come un arrivederci. «Quando ci rivediamo?», si sente dal cubo. «Prestissimo, magari a casa». I due genitori si allontanano salutando con la mano, mentre la figlia rimane a guardarli fino a che la corsia non li risucchia. Il tempo di chiudere il portellone e arriva un'altra famiglia. Sono tre gli incontri nel pomeriggio. «Scegliamo i pazienti - dice l'infermiera Lapia - sulla base delle condizioni di salute. Quelli che possono fare questo passaggio hanno già vissuto la fase più cruenta della malattia. Possiamo dire che sono in via di guarigione. Il che significa anche che sono degenze lunghe». 

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Arrivano due ragazze emozionatissime. Al Cotugno è ricoverata la mamma. Restano ferme sulla terrazza fino a che non spunta la sedia a rotelle. Allora si precipitano, come volessero abbracciarsi tutti davvero. Ma bisogna fermarsi di fronte al telo. La donna ha una bombola di ossigeno dietro la schiena, il viso affaticato. Dopo un po' una delle due ragazze si allontana e spunta un uomo. È il marito della paziente. All'incontro possono partecipare al massimo due familiari e allora si danno il cambio. «Ci siamo contagiati tutti in famiglia - dice poi l'uomo - ma noi meno gravemente. Mia moglie è l'unica che ha avuto bisogno di cure in ospedale. Noi siamo già negativi, per fortuna. Speriamo lo diventi presto anche lei». «Ci vediamo a casa», urlano le figlie mentre la mamma sparisce nel ventre del Cotugno. «Qui avevamo anni fa le balconate - ricorda nell'attesa della prossima famiglia il professore Dell'Aversano -; nei corridoi interni all'ospedale c'erano delle vetrate da dove i familiari incontravano i pazienti contagiosi. Contiamo di ripristinarle, per intanto questa terrazza ci restituisce un po' di umanità». Arriva una giovane donna, accompagnata da un uomo anziano. La signora deve incontrare il marito, ricoverato da marzo. Il paziente irrompe nel cubo sulla solita carrozzina e sembra quasi volersi alzare. Non ha la bombola di ossigeno, sta bene, si vede, per un attimo si toglie la mascherina, sorride, vuole mostrarlo. E con lui sembra accendersi il sorriso di tutto intero l'ospedale alle sue spalle.

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