Covid a Napoli, Pasquale è il paziente meno uno: «Io, colpito dal virus nel febbraio 2019»

Covid a Napoli, Pasquale è il paziente meno uno: «Io, colpito dal virus nel febbraio 2019»
di Maria Chiara Aulisio
Martedì 4 Maggio 2021, 10:46 - Ultimo agg. 5 Maggio, 09:35
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Pasquale Onorato, 56 anni, napoletano, imprenditore, è l'uomo che il professor Bruno Amato, docente di Chirurgia vascolare dell'Università Federico II - insieme con un pool di specialisti al lavoro sul caso - ha definito il paziente Covid meno uno. Dallo studio attento della sua malattia - contratta in Oriente nel febbraio del 2019 - si può affermare, con una buona dose di certezza, che Onorato sia rimasto vittima del Covid prima ancora che si avesse consapevolezza dell'esistenza del virus. Un caso importante il suo che medici e ricercatori stanno valutando con molta attenzione al fine di stabilire ufficialmente la retrodatazione della diffusione dell'epidemia. Ma andiamo con ordine e cominciamo a raccontare la storia dall'inizio quando - la sera del 12 gennaio 2019 - Onorato sbarca in Indonesia. 

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Dove precisamente?
«A Bali».

A fare che cosa?
«Mi occupo di importazioni dall'Oriente.

Ogni anno passo lì almeno un paio di mesi. Si lavora bene ma è necessario essere presenti».

Dove alloggiava?
«In un albergo di ottimo livello. Alla luce di quello che mi è successo devo ritenere che il problema sia nato proprio in quell'hotel».

Perché?
«La mia permanenza coincideva con il Capodanno cinese, la festività tradizionale più importante d'Oriente. L'hotel era letteralmente invaso da comitive di gente proveniente soprattutto da Wuhan».

L'epicentro dal quale è partito il primo focolaio di Covid.
«Non solo. Bali, ma l'ho scoperto dopo, è una delle località di vacanza preferite proprio dagli abitanti di Wuhan. Peggio di così non mi poteva andare».

Infatti il suo albergo era particolarmente affollato di cinesi.
«Ne avrò incontrati a decine. Sono rimasto nella stessa struttura quattro settimane. Immaginate quante comitive di vacanzieri si sono alternate».

Ha avuto contatti con loro?
«Inevitabilmente ci siamo incrociati. Nelle zone comuni - dal ristorante al bar al centro benessere - si stava insieme così come succede in ogni struttura alberghiera. Vai a sapere quello che stava per accadere».

Quindi?
«Ultimato il lavoro sull'isola di Bali mi sono spostato a Bangkok, in Thailandia. Appena arrivato ho cominciato a stare male».

Che sintomi aveva?
«Strani dolori sotto le costole e qualche linea di febbre. All'inizio pensai a un po' di influenza, ma con il passare dei giorni stavo sempre peggio. La febbre aumentava e i dolori pure. Cominciai a temere di aver contratto una malattia endemica da quelle parti, molto simile alla malaria».

A chi chiese aiuto?
«Andai direttamente al Bangkok Hospital: non avevo alternative. Mi sottoposero a una serie di analisi dalle quali venne fuori la Ves molto alta e anche la proteina C-reattiva».

Quale fu la diagnosi?
«Mi dissero che ero stato attaccato da un virus non identificabile ma la Tachipirina sarebbe stata ugualmente sufficiente. Rientrai in albergo e cominciai la terapia».

Come si sentiva?
«Malissimo. Nessun cenno di miglioramento, anzi: stavo sempre peggio. Tornai in ospedale e venni ricoverato con urgenza. Mi fecero subito una Tac dalla quale venne fuori un quadro clinico assai strano: linfonodi ai polmoni, versamento pleurico, polmonite e trombosi della vena cava inferiore».

Ancora nessuna ipotesi di malattia?
«Niente, nonostante la grande mobilitazione che si creò intorno al mio caso: mi trattennero dieci giorni. Ricordo che venni visitato da una quantità di dottori: infettivologi, ematologi, pneumologi: nessuno capiva nulla. Si trattava di una concomitanza di patologie che non trovava spiegazioni scientifiche».

La terapia?
«Eparina e null'altro. Ritengo che abbiano fatto un tentativo: erano davvero disorientati. In ogni caso, lentamente, cominciai a migliorare ma ancora non potevo far ritorno in Italia».

Per quale ragione?
«Colpa della trombosi. Con quei valori salire su un aereo sarebbe stato un suicidio. Ogni dieci giorni tornavo in ospedale per i controlli. Solo il 6 aprile, finalmente, i medici di Bangkok mi autorizzarono a ripartire, a patto che, una volta a casa, sarei andato subito in ospedale».

Sperando in una diagnosi, ovviamente.
«Certo. Il primo a visitarmi è stato il professore Amato. Attualmente i laboratori del Policlinico Federico II - diretti da Francesco Beguinot e Pietro Formisano - stanno studiando le mie proteine cellulari che potrebbero rappresentare segnali tardivi del Covid. In campo anche gli specialisti del centro di radiologia del Policlinico per esaminare la patologia polmonare. Si fa sempre più strada l'ipotesi che io possa essere stato quello che chiamano il paziente meno uno». 

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