Covid, appalti e soffiate a Napoli: in aula la contromossa di Verdoliva

Covid, appalti e soffiate a Napoli: in aula la contromossa di Verdoliva
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 4 Dicembre 2020, 11:00 - Ultimo agg. 11:36
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Venti pagine per replicare alle accuse che lo vedono a giudizio, assieme ad altre decine di posizioni, tra manager della pubblica amministrazione, uomini politici, imprenditori, forze dell'ordine. Una memoria difensiva che Ciro Verdoliva ha depositato ieri mattina dinanzi al giudice per le udienze preliminari Cangiano, nel chiuso dell'aula bunker del carcere di Poggioreale. 

Oltre cinquanta imputati (ovviamente liberi, ma convocati nella Ticino uno per ovvie esigenze di contenimento sanitario), tocca alle parti intervenire nel corso di una inchiesta nata a margine del cosiddetto caso Consip. Una vicenda che ruota attorno al virus spia - il cosiddetto Trojan - inoculato nei cellulari dell'imprenditore Alfredo Romeo e del suo consulente, ex parlamentare Italo Bocchino.

Diversi i capitoli di indagine, proviamo a fare chiarezza a partire dalla posizione del direttore della Asl Napoli uno Ciro Verdoliva, impegnato in prima linea nella cabina di regìa contro la pandemia. Difeso dai penalisti Giuseppe Fusco e Giuseppe Vacca, Verdoliva si affida a una nota scritta: nega di aver favorito il gruppo Romeo, nella sua precedente gestione di dirigente del Cardarelli, nega di aver ottenuto vantaggi privati da ditte a loro volta impegnate nella catena di commesse all'ombra della sanità cittadina, prende le distanze anche dalle accuse che lo vedono coinvolto - in un altro capitolo di indagine - accanto ad alcuni esponenti delle forze dell'ordine. Stando alla lettura della memoria difensiva, su quest'ultimo punto Verdoliva ha fatto esplicito riferimento a un precedente provvedimento da parte del gip che aveva escluso le ipotesi di corruzione.

Stesso canovaccio anche per altri due imputati eccellenti, parliamo di Bocchino e Caldoro. Difeso dagli avvocati Luigi Ferrante e Giuseppe Valentino, l'ex parlamentare della destra ha rivendicato la correttezza della propria condotta, come consulente del gruppo Romeo. Una nota difensiva è stata depositata anche dagli avvocati Fabio Carbonelli e Alfonso Furgiuele, che assistono l'ex presidente della regione Stefano Caldoro (attualmente leader di opposizione in Consiglio regionale) da una ipotesi di traffico di influenze. 

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Due i punti su cui battono i difensori, quello relativo all'uso delle intercettazioni, ricavate grazie al sistema del virus spia nei cellulari di alcuni indagati; e quello legato al merito delle accuse in relazione a vicende a metà strada tra affari e attività di lobbying. Ma andiamo con ordine, proviamo a seguire il ragionamento dei difensori di Caldoro, partiamo dal dato formale: «Il pm ha utilizzato come mezzo di ricerca della prova le intercettazioni con la deviata finalità definita dalla dottrina, a strascico. Nel senso che non ha inteso ricercare le prove in ordine a una preesistente notizia di reato per la quale era già emersa in precedenza la gravità indiziaria, bensì ha inteso utilizzare lo strumento captativo, in maniera impropria e illegittima, al solo scopo di ricercare nuove notizie di reato, in ordine alle quali erano emersi meri e vaghi elementi di sospetto». Poi viene respinto il merito delle accuse, a proposito di un presunto traffico di influenza tra Caldoro e Bocchino (entrambi politici di lungo corso), in relazione alla istituzione di una borsa di studio e a una presunta mediazione dell'ex governatore per un appalto pubblico: punti sui quali, la difesa sostiene di poter dimostrare l'estraneità alle accuse da parte di Caldoro. Una vicenda che torna in aula a metà gennaio, che attende il dispositivo del gup, nel corso di un maxidibattimento che punta a verificare presunti accordi all'ombra del notabilato cittadino.

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