Covid, l'assedio della camorra al Recovery Fund: 500 imprenditori sotto esame

Covid, l'assedio della camorra al Recovery Fund: 500 imprenditori sotto esame
di Giuseppe Crimaldi
Mercoledì 7 Ottobre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 15:42
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Cinquantotto fascicoli e 500 imprenditori sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori che indagano sui rischi legati alle infiltrazioni mafiose sui beneficiari dei finanziamenti europei. La camorra è in agguato, e ha già iniziato le grandi manovre d’assalto. Sono i primi dati che confluiscono presso la Prefettura di Napoli chiamata a prevenire i rischi di inquinamento dell’economia legale e di riciclaggio di denaro sporco. Siamo ancora alle battute iniziali, ma a Palazzo di Governo quei fascicoli potrebbero presto trasformarsi in atti formali, e dunque in interdittive antimafia.

Come ai tempi del dopo terremoto del 1980, e forse anche peggio. L’assalto alla diligenza dei finanziamenti previsti dal Recovery Fund da parte della criminalità organizzata è già cominciato, in netto anticipo sulla erogazione dei fondi. I disastri, per le mafie, sono da sempre una manna, un banchetto al quale non si può rinunciare, un’occasione imperdibile.

Duecentonove miliardi di euro: in parte a fondo perduto e in parte sotto forma di prestito agevolato. Una torta gigantesca che fa gola a cosche e gruppi sempre più agguerrite, oggi sicuramente più abili a maneggiare bilanci, a riciclare denaro che a far sparare le lupare. Ma il temibile assalto, oggi, fa ancora più paura perché si innesta su un tessuto sociale ed economico fortemente compromesso dalla crisi determinata dalla pandemia da Covid 19. 
 

 


I rischi da fronteggiare sono ancor più complessi se si tiene conto di due dati. Il primo: se nel post-terremoto la metodologia di infiltrazione transitava inevitabilmente attraverso lo strumento degli appalti pubblici, oggi l’assegnazione dei fondi transita sul terreno, spesso scivoloso, del criterio basato sull’autocertificazione bancaria, con tutti i rischi che è possibile immaginare nelle pieghe di tale strumento. Il secondo: al netto di ciò che potrebbe accadere nei prossimi mesi, il quadro complessivo che illustra la sofferenza vissuta da piccoli e medi imprenditori durante il periodo del lockdown illustra una situazione drammatica. Dunque - e su questo allarme rosso si è già espressa anche l’Europol (l’Agezia continentale che fornisce assistenza ai 27 Stati membri dell’Unione europea nella loro lotta contro la grande criminalità internazionale e il terrorismo) serve la massima attenzione e vigilanza sui fondi in arrivo.

La potenziale aggressione delle mafie ai capitali in arrivo riguarda almeno quattro comparti strategici per l’economia: la ristorazione, il settore turistico-alberghiero, la filiera agroalimentare e quella legata alla grande distribuzione; segmenti che hanno subìto già abbondantemente l’assalto della nuova criminalità organizzata. Più che mai nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia.

A Napoli è stato il prefetto Marco Valentini a sollecitare, in sede di comitato per l’ordine e la sicurezza, un’ “analisi di contesto sui pericoli di infiltrazione della camorra” che vede oggi impegnato il meglio delle risorse investigative cittadine. A cominciare da un gruppo ristretto di eccellenza della Guardia di Finanza, l’organo più specializzato e in grado - per specifcità di competenze istituzionali - a mettersi sulle tracce della criminalità organizzata più spregiudicata e capace di penetrare nell’economia locale e nazionale.

Al lavoro sono già da tempo i militari delle fiamme gialle esperti nell’analisi dei dati. Con metodo e strategia che non lascia nulla al caso, giacché il primo screening su nomi e imprese che potrebbero risultare in odor di camorra incrocia i risultati tra banche dati economiche e e banche dati della polizia giudiziaria. Il loro lavoro sarà il primo passo utile e necessario a dotare la Prefettura di tutti quegli elementi utili, eventualmente, a far scattare poi lo strumento preventivo delle interdittive antimafia.

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Ma prima ancora di entrare nel merito investigativo, che sta già producendo risultati, occorre illustrare la situazione napoletana per come emerge dai dati ufficiali registrati dalla Camera di Commercio del capoluogo campano. Dati che, seppur abbastanza in linea con quelli di un anno fa, delineano lo stato di profondissima sofferenza di aziende e imprese - piccole, medie e grandi - operanti sul territorio provinciale. E, si sa, sulle sofferenze economiche resta costantemente in agguato la camorra.

Nel periodo “chiave” definito dai mesi critici in cui si è sviluppato il picco della pandemia - dunque marzo - fino alla fine di settembre 101 sono stati i fallimenti, 5471 le attività commerciali che hanno chiuso i battenti; 1433 quelle nuove, mentre le cessioni di aziende registrate da gennaio a oggi ammontano a 3575. 

C’è poi la sovraesposizione delle richieste di prestiti e mutui, altro indicatore della mancanza di ossigeno per negozianti e imprenditori in difficoltà e alla ricerca di liquidità immediate. Si tenga conto che già ad aprile - e dunque ancora durante il lockdown - erano oltre 500 le richieste di finanziamento da imprese, artigiani e professionisti, arrivate alla Banca di Credito Cooperativo di Napoli per affrontare la crisi del Coronavirus (con richieste che variavano dai 25mila a 300mila euro).

Oggi il loro numero continua a salire. Ma, naturalmente, richiedere un finanziamento non significa sempre e comunque riuscire ad ottenerlo: altro elemento che i clan - in questi ultimi mesi attivissimi sul territorio - hanno saputo intercettare e sfruttare, sguinzagliando tra le fasce più deboli e bisognose gli emissari dell’usura. A Napoli per gli interventi a favore delle vittime dell’usura la Prefettura in pochi mesi ha accolto già ben 26 istanze. D’altronde, su questo odioso e subdolo fenomeno (che statisticamente non trova la stessa intensità di denunce che si riscontra invece per il reato di estorsione) è stato proprio il comandante generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana, a lanciare l’ennesimo allarme fornendo un dato inquietante: «Nel periodo marzo-agosto 2020, il valore dei proventi usurari sottoposti a sequestro è più che raddoppiato» ha detto.

È così che si sviluppa il “welfare della camorra”. Attraverso un progetto raffinato e articolato che trova sempre più facili sbocchi verso l’acquisizione di attività commerciali, imprese a costo zero (i clan hanno oggi una disponibilità di “cash” immensa, e riescono ad approfittare dello stato di necessità finanziaria di operatori commerciali in difficoltà, costretti sovente anche a svendere le loro aziende; ma anche affiliando nuove leve attraverso il prestito usurario, che si trasforma in una catena difficile poi da spezzare.

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Ma lo Stato non resta a guardare. E sebbene siano ancora in molti a credere che gli strumenti normativi di contrasto a questo fenomeno di infiltrazioni nell’economia legale siano ancora spuntati, c’è chi si muove per prevenire che alla tavola imbandita dei finanziamenti ci sia posto per i boss della camorra dei boss e dei colletti bianchi.

Con grande professionalità i finanzieri del comando provinciale di Napoli diretto dal generale Gabriele Failla hanno iniziato a dragare i fondali nei quali si aggirano gli “squali” della criminalità organizzata. Per ora si è iniziato a passare ai raggi x le operazioni che riguardano uno dei settori che maggiormente ha subìto i morsi della crisi: quello della ristorazione e dei bar. Il lavoro del team composto da ufficiali esperti in analisi economiche hanno già illuminato il primo cono d’ombra, individuando una sessantina di posizioni a dir poco sospette, con tanto di soggetti sui quali va fatta luce (potenziali prestanome o “teste di legno”, naturalmente incensurati); e su passaggi di quote societarie non sempre limpidissime.

Le fiamme gialle hanno anche suddiviso queste posizioni sospette: individuando i soggetti che hanno già chiesto finanziamenti a fondo perduto per oltre 450mila euro, e quelli che - attraverso lo strumento di garanzia - hanno avuto accesso ai finanziamenti addirittura per oltre un milione e 200mila euro. Cifre da brividi, se si pensa rapportate al solo segmento commerciale di bar e ristoranti.
 


Ora lo spettro d’indagine si allarga a settori ancor più strategici, a cominciare dalla filiera agroalimentare: e dunque c’è da aspettarsi altre sorprendenti novità.

«E attenzione: - spiega un investigatore impegnato in prima linea da anni nell’azione di contrasto alla criminalità economica - tutto questo è al netto di un’altra possibile opportunità che le mafie sarebbero pronte a sfruttare, quella dei finanziamenti previsti dopo l’eventuale accettazione dei fondi del “MES”, sui quali si scatenerebbero gli appetiti della criminalità che punta ad infiltrarsi nell’universo sanitario».

E lo dichiara ancora più esplicitamente il vicecapo della Polizia e direttore della Criminalpol, il prefetto Vittorio Rizzi, rilevando come il rischio che corrono i Paesi europei è di scoprire troppo tardi le infiltrazioni, quando il danno all’economia reale diventa irreparabile: «Se le infiltrazioni ci sono state ancora non ne abbiamo piena consapevolezza, ma pensare che ci siano Paesi e sistemi economici immuni dal rischio infiltrazioni sarebbe un errore gravissimo, una grave miopia.

Così come nessun paese è stato immune dal Covid-19, nessuno lo sarà dalle organizzazioni criminali, già da molti anni inserire nel tessuto europeo e mondiale». Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra sanno essere più pervasive del Coronavirus.

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