Covid e fuga dei cervelli, la storia di Umberto: «Via dall'Italia per poter lavorare»

Foto di Umberto D'Andrea
Foto di Umberto D'Andrea
di Emma Onorato
Mercoledì 5 Maggio 2021, 14:32 - Ultimo agg. 6 Maggio, 08:42
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L'attuale momento di crisi ha segnato il nostro paese con delle cicatrici profonde; inevitabilmente gli effetti della pandemia hanno avuto serie ripercussioni anche sul mercato del lavoro. A subire il contraccolpo della crisi dettata dal coronavirus, rientrano anche tutti quei giovani che da poco si sono introdotti nel circuito lavorativo. Umberto D'Andrea è un giovane 29enne napoletano che si è visto costretto a cambiare paese e trasferirsi nel Regno Unito, pur di continuare il suo lavoro. La sua ultima esperienza lavorativa in Italia è iniziata a settembre 2019 e si è conclusa dopo un anno (settembre 2020): «A Milano mi occupavo di fiscalità internazionale, precisamente di transfer pricing - racconta Umberto che ormai da sette mesi lavora in Inghilterra - Qui a Londra mi dedico al transfer pricing per clienti multinazionali nel settore dei servizi finanziari».

D'Andrea racconta che è sempre stato legato all'idea di lavorare in Italia, ma aggiunge: «Prima pensavo all'estero come un'opportunità per fare esperienze, senza andare mai oltre questa aspettativa.

Cosa mi ha fatto cambiare idea? Gli effetti negativi della pandemia sul mondo del lavoro, mi hanno spinto a cambiare paese. A Milano avevo un contratto di collaborazione, quindi con P.Iva, ma a causa del coronavirus avevo percepito un'atmosfera che annunciava le non conferme contrattuali. Già da giugno 2020 ho iniziato a guardarmi intorno per cercare un'altra occupazione, sempre su Milano, ma non si sono aperte molte porte, così ho iniziato ad affacciarmi anche sul mercato europeo».

Da quando Umberto è all'estero, si sente professionalmente più apprezzato, e il suo discorso va al di là del riconoscimento professionale: «La pandemia ha drammaticamente penalizzato chi era in cerca di conferme; mi viene da pensare agli stagisti o a chi aveva un contratto di prova e non è stato confermato». Questo aspetto demoralizza i giovani ed accentua, purtroppo, il fenomeno della fuga di cervelli: «Se prima pensavo di trasferirmi all'estero solo per un'esperienza, ora che mi sono reso conto che il mercato del lavoro estero è completamente diverso da quello italiano, capisco anche il perché nonostante gli italiani amino l'Italia, abbiano difficoltà a tornare». Se gli viene ipotizzato di tornare nel nostro paese per un' altra offerta di lavoro, D'Andrea risponde: «Solo quando mi sentirò pronto professionalmente: al momento sto puntando a una crescita professionale. Devono trascorrere almeno tre o quattro anni prima del mio ritorno, ma lo farei solo per una posizione manageriale» conclude. Al momento sembra essere soddisfatto della sua nuova posizione: lavora in smart working, e la sua azienda attuale, alterDomus, sta investendo molto sulla sua formazione.

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