Napoli, effetto Covid su bar e ristoranti: chiuse in un anno 711 attività

Napoli, effetto Covid su bar e ristoranti: chiuse in un anno 711 attività
di Gennaro Di Biase
Sabato 26 Marzo 2022, 00:05 - Ultimo agg. 27 Marzo, 09:01
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Il 2020-2022 sarà ricordato probabilmente come triennio nero del Terzo Millennio. La pandemia non è ancora chiusa, e alla crisi economica da Covid non ancora smaltita si aggiunge quella scatenata della guerra. I tempi sono però maturi per valutare i numeri dell’indotto andato finora in fumo, dei posti di lavoro scomparsi, delle imprese che non sono riuscite a salvarsi. Il conto, per bar e ristoranti, è salatissimo. Il report annuale sulla ristorazione di Fipe (la Federazione Italiana Pubblici Esercizi) - che ha raccolto i numeri sulla base di fonti Istat, Infocamere e Inps - parla di 1,6 miliardi persi per i pubblici esercizi partenopei dal pre-Covid a oggi. E di 711 attività che hanno abbassato la saracinesca a Napoli nel solo 2021. Il 2022 era vissuto dagli imprenditori come l’anno della ripresa, dell’uscita definitiva dalla pandemia e dalle sue restrizioni, che - nei lunghi mesi di vittime e terapie intensive al collasso - avevano colpito a più riprese bar e ristoranti prima chiudendo le attività. Poi consentendo le riaperture solo a chi era dotato di spazi esterni. La guerra, però, che ha fatto schizzare i costi energetici e quelli di alcune materie prime fondamentali per la cucina partenopea come la farina di grano tenero (usata per pane e pizza) ha allungato il tunnel della crisi. 

Nel biennio 2020-2021 sono ben 45mila le cessazioni di pubblici esercizi a livello nazionale, con un saldo negativo di 14mila attività. Per il 32% delle imprese italiane, il fatturato è calato di oltre il 20% nello stesso lasso di tempo. C’è stata, comunque, una ripresa del fatturato nel 2021, ma a Napoli è stata inferiore a quella registrata nel resto dello Stivale (+21,9% contro +20%). Tradotto in termini economici, la contrazione dei consumi del 2020 di 34,6 miliardi è stata recuperata solo per 13,3 miliardi nel ‘21 su scala nazionale. A Napoli, le perdite del 2020 di 1,9 miliardi sono state invertite di 300 milioni l’anno scorso. A testimoniare la ripresa solo parziale del 2021, ci sono i saldi negativi nel tasso di natalità delle imprese: in città hanno chiuso ben 711 pubblici esercizi, contro 494 nuove attività.

Insomma, dal 2021 in città ci sono 217 tra bar e ristoranti in meno. Sempre nel 2021, in Campania hanno abbassato la saracinesca 1606 imprese (929 le nuove iscritte), con un saldo negativo di 677 attività (8942 pubblici esercizi nati in Italia, 23mila chiusi, con un saldo ancora negativo di 14058 imprese). Ovviamente, la crisi incide sui livelli occupazionali: nel 2019 erano 34992 i dipendenti di pubblici esercizi a Napoli (65006 in Campania), contro i 26.467 del 2020 (50.408 in Campania) e i 27429 del 2021 (50892 in Campania). Insomma, in città 7563 persone hanno perso il lavoro dal pre-Covid.

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Nel presente e in prospettiva, a causa dei recenti aumenti dei costi delle materie prime, sono in particolare i locali di fascia medio-alta a vivere le maggiori difficoltà. A chiarire nel dettaglio come mai è Massimo Di Porzio, titolare dello storico Umberto a Chiaia e presidente di Fipe Campania: «La proiezione del 2022 era positiva, prima che scoppiasse la guerra - dice - Per fine anno era previsto un ritorno ai livelli di fatturato precedenti alla pandemia. A questo punto, credo che l’obiettivo sarà mancato. La ripresa a Napoli è più lenta che nel resto d’Italia, come dimostrano il saldo negativo di livelli occupazionali e della natalità delle imprese. Ci aspettiamo il -10% di incassi rispetto al 2019. Molto dipenderà dallo scenario del conflitto: con la guerra le bollette sono aumentate di un 30% medio, ma in certi casi sono raddoppiate. Negli ultimi mesi si è invertita poi una tendenza: i fornelli a gas andavano per la maggiore, prima della guerre, ma tanti nelle nuove cucine stanno tornando a montare i fornelli elettrici per ovviare alla crisi del gas. Altro dato fondamentale: Ucraina e Russia sono “il granaio d’Europa”. La farina di grano tenero dipende molto dai paesi a oggi in guerra, e le scorte che abbiamo sono quelle acquistate prima del conflitto. Sul grano duro, cioè per la pasta, l’Italia è il secondo produttore del mondo, quindi siamo più coperti. In questo scenario incerto, anche il saldo tra attività aperte e chiuse continuerà a essere negativo. I locali di fascia medio-alta sono quelli in maggiore difficoltà, anche per la questione del mantenimento dei prezzi. Tra questi ci sono poi le cucine degli stabilimenti balneari in attesa dalla ridiscussione delle concessioni».

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