Covid a Napoli, al Vomero è strage del commercio: si arrende un negozio al giorno

Covid a Napoli, al Vomero è strage del commercio: si arrende un negozio al giorno
di Paolo Barbuto
Venerdì 9 Aprile 2021, 08:34 - Ultimo agg. 10 Aprile, 09:11
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L'elenco viene scritto a penna su un foglietto, diviso per strade, selezionato per periodo. «Fiorenzano ha chiuso nel primo lockdown, Kelenè invece nel secondo, lo store Wind e Elena Mirò risalgono alla prima ondata...», l'elenco è lungo, infinito, Enzo Perrotta talvolta si ferma perché scrive nomi di negozianti amici con i quali ha condiviso una vita di commercio al Vomero. Perrotta è antico presidente del centro commerciale Vomero-Arenella e fresco leader della Federazione del Commercio, conosce ogni dettaglio di ogni vetrina del quartiere e allarga le braccia: «Mettendo in fila chi si è già arreso e chi sarà costretto a farlo nei prossimi giorni scopriamo che al Vomero c'è la media di una chiusura al giorno». Il conto delle saracinesche abbassate è impressionante, l'idea che ogni giorno chiuda per sempre un negozio vomerese fa venire i brividi.



A via Scarlatti il cancello sbarrato dell'Hazar Cafè sembra la prima scena di un film horror: vialetti malridotti, sedie e tavolini abbandonati, vento che solleva polvere e cartacce.

A questa struttura la pandemia ha dato solo il colpo di grazia perché è stata coinvolta nel crac del Gran Bar Riviera al quale era collegata. Però quel cancello chiuso, a proteggere un nulla di silenzio e abbandono, mette i brividi.


Un po' più su, in cima a via Scarlatti, il portoncino del Goodfellas è chiuso da mesi, hanno portato via pure l'insegna: il covo degli appassionati di musica live e convivialità è stato sacrificato sull'altare della crisi sanitaria. Bob Gallino, lo leggete nell'intervista di questa stessa pagina, è stato messo al tappeto da fitti arretrati e banche senza cuore, così ha definitivamente cancellato il suo sogno.

L'insegna di Elena Mirò a via Bernini è mezza cancellata dal sole. Sulle vetrine impiastricciate di polvere e smog c'è la promessa di apertura di un nuovo locale food ma, per adesso, non ci sono segni evidenti di attività in corso.
Dall'altra parte di piazza Vanvitelli l'iniziativa di Fiorenzano che aveva portato al Vomero le sue storiche fritture, s'è arenata di fronte alla crisi, anche qui vetrine coperte di carta da pacchi per nascondere il vuoto all'interno. Davanti a MangiaNapoli, l'idea di ristorazione vomerese di Roberto Napoli, ci sono ancora le strutture di legno per ospitare i tavolini all'esterno, ma nessun segno di vita all'interno. Il titolare fu tra i trascinatori di una manifestazione di protesta, lo scorso novembre, davanti a palazzo Santa Lucia, spiegò che bisognava fare qualcosa per salvare la categoria, poi lasciò un triste messaggio via social: «Chiudiamo, lotteremo per riaprire». Quel momento non è ancora venuto, c'è chi sostiene che non verrà più.


Anche la famiglia Ciccolella che anni fa lasciò lo storico negozio di via Bernini per spostarsi qualche metro più su, ora ha detto addio; le porte di Sailing sono chiuse ormai da tempo, pure quelle del rivenditore Wind di via Bernini non hanno riaperto più. A via Cimarosa il take away Wo ha smesso di preparare panini e sfizi, anche a via Kerbaker un paio di pub hanno alzato bandiera bianca.

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«Il 52 per cento dei commercianti ha problemi con il pagamento di utenze e fitti - dice disperato Perrotta - il 63 per cento ha una segnalazione che impedisce qualsiasi richiesta con le banche. Capite cosa significa? Che il settore è in ginocchio davanti al plotone di esecuzione».


Così iniziano anche i disperati tentativi di fuga senza danni dai negozi del Vomero. Nell'ultimo mese sono almeno trenta le offerte pubbliche affinché qualcuno rilevi avviamento e arredi di negozi che i titolari non riescono più a mandare avanti. Anche in questo caso non esiste settore commerciale che non sia rappresentato: dallo shop di caccia e pesca a via Piscicelli il cui avviamento viene svenduto a 20mila euro, al parrucchiere Ilario di via Merliani che lascia la sua attività per 29mila euro, ma sono comprese tutte le attrezzature acquistate da pochissimi mesi.


C'è anche chi è proprietario dei locali ma non vuol più saperne di restare nel commercio: il baretto più antico di via Aniello Falcone è in vendita, il locale e l'avviamento vengono valutati un milione e centomila euro che, di questi tempi, solo in pochi possono investire. Per acquistare il locale del negozio Dresscode di via Merliani, invece, bastano 360mila euro ma lo shop si trova in un seminterrato. Con 120mila euro, invece, si possono acquistare il locale e l'avviamento del ristorante Lavica di via Giotto, elegantissimo e fresco di ristrutturazione.


Per lasciare ad altri la gestione del pub The Pitch a vico Acitillo si chiedono 50mila euro, la paninoteca Scugnizzo è di piazza Fanzago verrebbe lasciata a un nuovo gestore in cambio di 75mila euro; per subentrare nella gestione dell'Escape Room di via Bonito, invece, è necessario arrivare fino a 120mila euro.


L'avviamento e l'arredamento della tavola calda Pasta felicità di via Giotto, vengono valutati 25mila euro. L'elenco sarebbe ancora lunghissimo, il risultato del racconto sarebbe sempre lo stesso: al Vomero il commercio è in ginocchio, chi non riesce a resistere chiude e va via, chi ha ancora un po' d'ossigeno spera di vendere o di cedere. La débâcle è totale.

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