Covid a Napoli, il pizzaiolo Capasso: «Ho venduto i miei gioielli per pagare il salario a tutti»

Covid a Napoli, il pizzaiolo Capasso: «Ho venduto i miei gioielli per pagare il salario a tutti»
di Giuliana Covella
Venerdì 30 Ottobre 2020, 23:30 - Ultimo agg. 31 Ottobre, 11:01
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«Per pagare i miei dipendenti ho venduto gli oggetti preziosi della mia famiglia». Vincenzo Capasso, 31 anni, sposato e padre di due bambini, è il titolare della trattoria Casa Capasso in via Tribunali. L’imprenditore fu tra i ristoratori che protestarono due settimane fa contro la riduzione degli incassi a causa della nuova emergenza sanitaria. Ora Vincenzo non ha avuto scelta di fronte alla crisi in atto: ha venduto gioielli di moglie e figli per pagare gli stipendi ai suoi collaboratori. Ex ragazzo difficile dei vicoli del centro storico, il giovane pizzaiolo ha inaugurato il locale un anno e mezzo fa. Ma con la nuova ondata Covid la situazione è precipitata e lui si è visto alle strette, tanto da decidere di sacrificare oggetti che «hanno un significato che va oltre quello materiale». 

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Come mai ha preso questa decisione?

«Ho sofferto la fame e so cosa significa dormire per strada, non avere nulla da mangiare e stare senza un centesimo di euro in tasca.

I miei dipendenti hanno famiglie, mutui e bollette da pagare. Non potevo abbandonarli. Li ho aiutati sin dal lockdown della primavera scorsa. Prima del Covid avevo 12 persone a lavorare, ora sono diventate 6 e hanno familiari da sfamare. Perciò ho venduto le fedi, i rosari d’oro, i gioielli del battesimo di mia figlia. Ora la situazione si è aggravata, si prospetta un nuovo lockdown e queste persone devono pur mangiare».

Anche lei ha famiglia.
«Ho una moglie e due figli, un ragazzino di 12 anni e una bimba di appena 5 mesi. Ho un fitto mensile di 75o euro da pagare per la casa in cui viviamo, bollette, tasse e finanziamenti. Ma non mi sono abbattuto e soprattutto non ho mai pensato di abbandonare chi lavora con me ogni giorno, da mattina a sera, in trattoria. Come avrebbero fatto senza portare soldi a casa? Cosa avrebbero dato da mangiare a mogli e figli?».

Non hanno ricevuto la cassa integrazione dallo Stato, come altre categorie di lavoratori?
«Non è mai arrivata. E io ho garantito loro lo stipendio sin dal mese di marzo, col primo decreto Conte che stabilì la chiusura di tutte le attività. Siamo rimasti chiusi quattro mesi, senza ovviamente incassare nulla. Poi abbiamo riaperto a fine giugno. Una lieve ripresa si è cominciata a registrare ad agosto con quei pochi turisti che ritornavano in città e al centro storico. A settembre si è ripiombati nell’incubo dei mesi precedenti e a inizio ottobre ogni giorno il risultato era zero coperti e cassa vuota».

Quando ha deciso di andare a vendere gli oggetti preziosi di famiglia per pagare il personale?
«Pochi giorni fa, quando mi sono reso conto che ero con l’acqua alla gola. Anche io, ripeto, ho tante spese per mantenere la mia famiglia e il locale. Ma non avrei mai lasciato senza soldi chi lavora fianco a fianco con me, facendo grossi sacrifici. Così ho venduto tutto ciò che avevamo a casa: dalle fedi nuziali mia e di mia moglie, ai regali che mio figlio maggiore ha ricevuto per la prima Comunione a quelli che la bimba piccola ha avuto in dono da parenti e amici per il battesimo. So che è una cosa che ha fatto soffrire mia moglie e me per primo, ma era inevitabile. Queste persone si spaccano la schiena per provvedere al sostentamento dei familiari. Perciò vorrei invitare a fare lo stesso anche altri imprenditori».

La sua solidarietà si è manifestata già durante il primo lockdown nel quartiere e in altre zone. Continuerà?
«Certo. L’ho fatto nei mesi scorsi e sto già facendo beneficenza alle famiglie bisognose del territorio e non solo. Col mio scooter ho portato spese con pane, pasta, latte, pelati, carne a tanti nuclei familiari di Decumani, Sanità, Quartieri Spagnoli, Ponticelli. Molte richieste ci arrivano sui social e insieme a tanti amici come quelli della società Valeria Valli che ci hanno sovvenzionato, siamo riusciti ad arrivare in tante zone. Un’iniziativa che ripeteremo a Natale, quando ci sarà più bisogno».

È stato tra i primi a scendere in piazza per protestare contro le nuove restrizioni.
«Siamo alla tragedia e le istituzioni se ne infischiano di noi. La seconda volta non ce la faremo ad affrontare la crisi. Io non ho mai ricevuto nulla dallo Stato, perché ho aperto il locale a fine luglio 2019 e per accedere agli aiuti del Governo dovevo inviare il fatturato di aprile dell’anno precedente. Anche stavolta non potrei, perché lo scorso aprile eravamo chiusi, alias non ho fatturato nulla. Così mi ritroverò senza incassi, con un ristorante chiuso e i miei dipendenti sul lastrico». 

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