Covid residence a Napoli, è flop: la quarantena si fa a casa, restano vuote 67 stanze

Covid residence a Napoli, è flop: la quarantena si fa a casa, restano vuote 67 stanze
di Melina Chiapparino
Sabato 14 Novembre 2020, 23:30 - Ultimo agg. 15 Novembre, 11:05
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A Napoli gli ospedali “scoppiano” di pazienti Covid e l’imperativo è recuperare posti letto. Fa eccezione, il Covid residence, la struttura destinata all’assistenza di pazienti positivi asintomatici, attivata lo scorso 21 ottobre. Nelle ultime settimane, la necessità di ricoveri ospedalieri per i contagiati, ha comportato l’installazione di una tenda con 20 posti letto al Cardarelli e la conversione dell’ospedale San Giovanni Bosco in presidio esclusivamente Covid ma non può dirsi lo stesso per il residence di Ponticelli. Nella palazzina multipiano, a pochi passi dall’ospedale del Mare, ci sono al momento, 17 ospiti su una disponibilità complessiva di 84 stanze pronte ad accogliere i contagiati. Sulla carta, sono numeri in controtendenza rispetto all’impennata dei casi positivi registrati negli ospedali o, più semplicemente, al numero di ammalati in isolamento domiciliare. I motivi di un utilizzo marginale della struttura, non sono circoscritti solamente a una valutazione clinica degli ammalati ma - come segnalato dai sindacati del comparto medico - riguardano le abitudini personali e una maggiore consapevolezza nell’eseguire l’isolamento a casa. 

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Il Covid residence, nato dal riadattamento di un albergo mai utilizzato per i parenti dei ricoverati all’ospedale del Mare, non ha ancora compiuto un mese di vita. Rispetto alle altre strutture con la sua stessa funzione, a Saviano, Teano e prossimamente ad Avellino, detiene il record per la capacità di accoglienza che è praticamente il doppio degli altri. Ad oggi tra i 17 ospiti accolti, tutti asintomatici e con una media di età vicina ai 50 anni, sono presenti 12 uomini e 5 donne. Nonostante la maggior parte della platea del residence appartenga ad una fascia di età adulta, ci sono anche un ragazzo di 20 anni e un signore di 78 anni ma per quasi tutti la media del tempo di permanenza all’interno della struttura, sono 13 giorni.

Da quando il residence ha aperto fino ad oggi, sono stati assistiti 32 pazienti nel complesso, tra cui 11 donne.

Nel residence non ci sono, né sono previsti medici, ma il personale è esclusivamente infermieristico e si occupa soprattutto del monitoraggio dei parametri clinici degli ammalati, oltre alla somministrazione delle terapie indicate dalle strutture di provenienza piuttosto che dai medici di famiglia. In caso di aggravamento delle condizioni dei positivi, scatta la chiamata al 118, esattamente come avverrebbe da casa propria ma questa possibilità, per ora, ha riguardato solo 2 ammalati. Quasi tutti i 17 ospiti presenti, sono stati dimessi dagli ospedali dove erano ricoverati per Covid perché “guariti” dal punto di vista della sintomatologia ma non ancora negativizzati. Per loro, tornare a casa, sarebbe stato un rischio perché gli spazi e le condizioni dell’isolamento domiciliare non erano sufficienti a proteggere i familiari dal contagio. Durante la permanenza nelle stanze del residence c’è wifi, televisore e cabina doccia e gli ospiti vengono sottoposti a tamponi a cadenza specifica, finché il test negativo gli consente le dimissioni.  

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Il dato sulla quantità di ospiti accolti, è scarno. «Non registriamo richieste di aiuto per attuare l’isolamento domiciliare che, a differenza della prima ondata pandemica, ora non coglie impreparati i pazienti» spiega Ernesto Esposito, segretario aziendale Smi dell’Asl Napoli 1. «Ormai le persone portano le mascherine anche in casa, hanno l’abitudine di sanificare oggetti e servizi igienici e riescono a gestire meglio l’isolamento casalingo» racconta Esposito che non nega la «predilizione dei partenopei a rimanere nelle proprie case». «I numeri dell’attivazione delle procedure per il Covid residence sono molto bassi - aggiunge Luigi Sparano rappresentante della Fimmg di Napoli - quando accade stiliamo una relazione da inviare all’Asl che non si limita all’aspetto clinico ma comprende il disagio ambientale e le condizioni socio - sanitarie che non rendono possibile l’isolamento».

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