Cuore artificiale, la storia di Carmela: «Grazie agli angeli del Monaldi resto in vita e spero ancora»

Cuore artificiale, la storia di Carmela: «Grazie agli angeli del Monaldi resto in vita e spero ancora»
Domenica 18 Aprile 2021, 12:00 - Ultimo agg. 19 Aprile, 08:56
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Carmela Eroe, 43 anni, napoletana, un marito e due ragazzi d'oro: a gennaio il nuovo anno si presenta con uno strano affanno e debolezza estrema. Al Monaldi, il cardiologo Giuseppe Limongelli, con Francesco Cerciello, ematologo insieme ai colleghi del Policlinico Federico II, eseguono una serie di accertamenti e stilano la diagnosi di amiloidosi, che suona come una condanna. I sintomi di Carmela sono il segno di una malattia rara che ha provocato l'accumulo di una proteina anomala nel suo cuore rendendolo inservibile. Esistono molte forme di amiloidosi e sono necessari ulteriori esami. Le proteine alterate, nel caso di Carmela, sono prodotte all'interno dell'organismo da un tumore delle cellule plasmatiche (mieloma multiplo). In questi casi, fino a qualche tempo fa, i medici gettavano la spugna. «Carmela dovrà affrontare una chemio e un trapianto di midollo prima di pensare magari a un trapianto di cuore da donatore ma per ora abbiamo fatto ricorso a un cuore artificiale» spiega Marisa De Feo, docente ordinario e direttore del dipartimento di Cardiochirurgia del Monaldi, Università Vanvitelli, che l'ha operata insieme al gruppo di Ciro Maiello, responsabile dell'unità operativa semplice dipartimentale di Chirurgia dei trapianti. In questo scorcio del 2021 Maiello e i suoi collaboratori, Cristiano Amarelli e Vittorio Palmieri, hanno eseguito tre impianti di cuore artificiale e operato a Pasqua anche Claudio Chiaravallotti, poliziotto di 58 anni amico d'infanzia del vescovo di Napoli Domenico Battaglia. «Nel 2020 il centro trapianti di cuore del Monaldi con 23 trapianti e 7 assistenze meccaniche - sottolinea il manager dell'azienda Maurizio di Mauro - ha incrementato l'attività del 44 per cento a fronte di una riduzione nazionale del 10». Carmela Eroe racconta la sua storia tenendo stretta sulle gambe una valigetta portatile. Il galoppo del cuore è un rumore continuo e i tubicini che collegano il compressore esterno al cuore meccanico sono i limiti di questa soluzione estrema ma il battito rimanda a quello che si ascolta nel grembo materno agli albori della vita. Per Carmela quella valigetta è la sua àncora di salvezza.

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Come fa a sopportare il rumore, riesce a dormire?
«Sono abituata, mi fa compagnia, mi ricorda che sono viva.

Ora sto bene mentre prima dell'intervento mi sentivo morire».

Quando ha scoperto di essere malata?
«A gennaio, avevo debolezza e affanno, una situazione molto critica. Sono arrivata in ospedale ed è iniziata la trafila degli accertamenti. É arrivata la diagnosi. Non immaginavo di essere affetta da questa patologia. L'unica soluzione era sostituire il mio cuore malato con un trapianto ma l'amiloidosi provocherebbe l'accumulo di nuove proteine e fiaccherebbe anche il nuovo organo».

Come ha accolto l'idea di affidarsi a un cuore artificiale?
«La vita è la cosa più preziosa. Sto bene e sono viva, solo questo conta. Questa piccola valigia fa parte di me. L'ho accettata subito. So che la malattia da cui sono affetta offre buone possibilità di sopravvivenza con le cure che farò». 

In famiglia come hanno reagito?
«Benissimo, mi sono stati tutti molto vicino, sono contenti. È un percorso che mi offre una possibilità, i medici sono bravi. Ho potuto operarmi senza nessun viaggio della speranza. Ci sono altre persone non hanno avuto questa possibilità».

Quando è stata operata?
«A fine febbraio, dopo un paio di settimane di degenza sono stata dimessa. Domenica scorsa sono tornata qui per dei controlli. Pare che vada tutto bene. Spero di rimettermi presto e raggiungere il traguardo finale».

Dovrà fare cure lunghe e difficili: cosa le dà la forza?
«Sono una persona che ama la vita e la affronto con le sue gioie e le sue difficoltà. Venire in un ospedale e in un reparto come questo fa toccare con mano l'umanità di tante persone. Si apprezza l'essenzialità delle cose. Mi sento privilegiata. Altri come me non sono altrettanto fortunati. Non c'erano alternative del resto, quindi va bene così. Non ho avuto nessun problema di incompatibilità. Tra qualche anno, quando sarò guarita dall'amiloidosi, potrò fare un trapianto definitivo. Per ora questo era l'unico trattamento possibile. Vorrei solo ringraziare tutti i medici di questo ospedale e del policlinico che dopo la diagnosi hanno avuto il coraggio di proporre questo percorso difficile ma che mi ha offerto una speranza e una possibilità». 

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