Napoli. Indagato per morte del fratello
«Rovinato dalla morte di papà»

Napoli. Indagato per morte del fratello «Rovinato dalla morte di papà»
di Daniela De Crescenzo
Venerdì 2 Dicembre 2016, 09:21 - Ultimo agg. 13 Luglio, 20:32
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«Meglio non dir niente, ho tante sorelle e in questo momento è bene non creare tensioni»: Luca Materazzo, il fratello di Vittorio, l'ingegnere ucciso lunedì scorso, parla sull'uscio di casa. «Ho la cucina in disordine», spiega. Poi, pian piano comincia a raccontare. Parla soprattutto della sua famiglia difficile, dove le denunce si ripetono e la causa per l'eredità del padre va avanti ormai da anni.

Luca ha 35 anni, ma ne dimostra molti di meno. Pallido, mingherlino, il volto scavato: tutto il suo aspetto racconta di una vita difficile. «Avevo tre anni quando i miei genitori si sono separati - dice - ed ho sempre vissuto con mio padre e con i miei fratelli, tutti più grandi di me. Poi loro si sono sposati uno dopo l'altro e in casa è arrivata Scintilla, la compagna di papà. Ho vissuto con loro fino a quando, quasi tre anni fa, è morto mio padre. Da allora ho perso tutto, la mia vita è diventata sempre più complicato».

La morte di Lucio Materazzo, che dal padre aveva ereditato e fatto crescere una fiorente impresa edile, segna uno spartiacque nella vita di Luca, ma anche in quella degli altri fratelli. In particolare in quella di Vittorio che non era convinto che l'ingegnere se ne fosse andato per cause naturali. «Mio padre è morto sull'uscio di casa e la porta era aperta. Mio fratello ha presentato degli esposti perché pensava che potesse essere stato aggredito da qualcuno arrivato dall'esterno. Cosa sia successo io non lo so. So solo che lo abbiamo trovato già riverso in terra. Ma papà aveva avuto diversi by pass coronarici e aveva 83 anni, le sue condizione di salute non erano buone da tempo. E poi lo stesso Vittorio in azienda ha poi presentato un documento autografo di papà in cui si destinava a lui il ruolo di leader dell'impresa, come del resto era giusto: lui era l'unico in grado di farla prosperare. Anche per questo credo che mio padre sapesse di non essere più in buona salute e stesse cercando di provvedere al futuro, forse, se fosse vissuto di più, avrebbe sistemato tutto».

Invece la morte dell'ingegnere aveva scatenato una serie di contese che si sono trascinate per anni. Nella casa al quarto piano di viale Maria Cristina di Savoia, nel palazzo abitato quasi interamente dalla famiglia Materazzo e nel quale lunedì è stato ammazzato Vittorio, restavano Luca, che ci abita tuttora, e la compagna del padre, Scintilla. Vittorio, Maria Vittoria, Serena, Simona e Roberta, però, racconta Luca, volevano rientrare in possesso dell'appartamento. «Io non sono mai stato d'accordo, credo che lei, che ci aveva abitato per tanti anni, avesse il diritto di cercarsi una sistemazione con calma. Ed infatti è andata via solo quando ha trovato un nuovo compagno. Ma non tutti la pensavano come me: credo che quando ci si sposa gli interessi della nuova famiglia prendano il sopravvento su quelli del nucleo d'origine. Un padre, una madre, sono interessati soprattutto ad assicurare ai propri figli lo stesso tenore di vita di cui ha goduto lui». Il rapporto tra il giovane uomo e la compagna del padre, però, è rimasto intatto ed è sopravvissuto fino ad oggi: i due si sentono ancora per telefono e si incontrano di tanto in tanto.

Ma quando Scintilla è andata via Luca è rimasto da solo: «La morte di papà ha segnato la mia rovina - racconta - io allora studiavo, volevo preparare il concorso per notaio, non avevo troppe spese perché vivevo in famiglia e avevo tutto il tempo di progettare il futuro. Ho studiato legge, come mia madre prima di me e poi mia sorella, sognavo una vita serena. Da quando non c'è stato più mio padre è stato difficile tirare avanti, mi sono trovato solo e senza risorse. Continuare a studiare è diventato difficile, ho cercato di arrangiarmi in tutti i modi». Un paradosso: nel palazzo di viale Regina Maria Cristina tutto parla di un'agiatezza antica, di quelle che si conquistano con il lavoro di generazioni. I marmi lucidi che lunedì sera sono stati imbrattati dal sangue di Vittorio, le porte di legno massiccio, il cortile per parcheggiare le auto, la guardiola per il portiere: un palazzo abitato da gente che non ha problemi economici. Ma per Luca non è stato così.

La vita per lui non è stata facile anche perché nel frattempo era scoppiata una discussione infinita per l'eredità che aveva coinvolto l'intera famiglia. Due sorelle si rivolsero al magistrato per la divisione dei beni, una divisione che non è mai stata completata. Una contesa infinita che aveva radici nel passato: da sempre le sorelle erano state schierate con la madre e il fratello, Vittorio, con il padre. O almeno Luca ricorda così e spiega: «Io ero troppo piccolo per capirci qualcosa, sono sempre stato considerato il bambino di casa». Un bambino che forse si è trovato ad affrontare, una dopo l'altra, situazioni più grandi di lui. Fino all'ultima tragedia, quella di lunedì scorso. «Quella sera c'era la partita ed io ero andata a vederla in un locale - spiega Luca - poi sono stato avvertito di quello che era successo e mi sono ritrovato con il resto della famiglia sotto al palazzo, davanti al cadavere di Vittorio. Siamo stati portati tutti in questura e ognuno di noi ha raccontato tutto quello che sapeva, che nel mio caso, però, non era molto. Siamo rimasti in via Medina a lungo». E non è certo un segreto che gli inquirenti vogliono vederci chiaro anche sulle vicende della famiglia e che una delle piste porta proprio ad approfondire i profili di tutti quelli che erano più vicino all'ingegnere ammazzato.

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