Napoli, la testimonianza di un babypusher: «Su e giù come un flipper per consegnare le dosi a Posillipo»

Napoli, la testimonianza di un babypusher: «Su e giù come un flipper per consegnare le dosi a Posillipo»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 18 Novembre 2021, 23:00 - Ultimo agg. 19 Novembre, 13:12
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Era come stare in un «flipper»: «Oggi spero di trovare una strada diversa, magari lontano da Napoli, anche se ho sempre l’incubo di ricadere in un certo circuito. Perché - spiega al Mattino - con la cocaina si guadagna bene, il mercato è in crescita e anche se hai un ruolo marginale, porti a casa soldi che te li sogni alla mia età». Eccolo M.N., maggiorenne da qualche mese, originario della zona della Vicaria, finito sotto inchiesta come pusher di una piazza di spaccio. Una «piazza mobile - precisa accanto al penalista di fiducia - non collegata a organizzazioni camorristiche». Sin dal primo colloquio con le forze dell’ordine, lo ha giurato: «Lavoravo come autonomo. Una sorta di free lance dello spaccio, come ce ne sono tanti in giro per Napoli: «Posso immaginare che la droga, in particolare la cocaina, è una cosa che arriva “a sistema in città” (controllata dai clan, ndr), ma io mi limitavo a trasportarla da un punto all’altro, di più non so e non ho mai voluto sapere. Non sapevo chi ci riforniva, né che roba di preciso fosse». 


Vita da giovanissimo pusher “a gettone”, uno dei tanti nel flipper napoletano. Colto sul fatto nella narcometropoli cittadina. Vento in faccia, sempre in sella allo scooter, con un telefonino “dedicato” che «vibra a pazzo, quasi esplode tra il giovedì e sabato, quando si tratta di portare quelle dosi a domicilio». Nascosta nei pacchetti di sigarette, zucchero, sale, come se si fosse trattato del garzone di un supermercato. Ma come avveniva lo smercio? E come si diventa pusher? Ma soprattutto: come se ne esce? Parte dalla fine, lui che non accetta neppure una foto di spalle, che ha ottenuto il beneficio della messa alla prova, che si fa forte di un regalo, una sorta di cimelio: un libro che gli è stato donato da un pm del Tribunale dei Minori. A che serviva? «Mi diede un libro che riguardava il turismo, una cosa semplice da leggere, quando gli confidai il mio desiderio di fare il pizzaiolo.

Magari anche fuori Napoli». Uno dei tanti a finire nelle maglie della giustizia, che - a differenza di tanti - ha ottenuto uno sbocco a lieto fine: la messa alla prova, che gli consente di rifarsi una fedina penale, oltre a riporre una buona dose di fiducia. 

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Difeso dall’avvocato Giovanni Pagano, accetta di raccontare la sua storia di piccolo pusher in una città che ingoia ogni mese 2 tonnellate di cocaina, come raccontato in un’inchiesta pubblicata pochi giorni fa dal Mattino. «È accaduto tutto in pochi giorni e la mia carriera alla fine è durata qualche mese. In che senso? Come andarono le cose? Maggio del 2019, avevo sedici anni ed ero bravo alla guida dello scooter. Una scheggia. Stavo sempre in moto, così tanto per “pariare” (per divertimento), poi finiva la benzina e niente, mi arrangiavo, magari con piccoli lavoretti. Ho provato a fare il rider, ma l’ho fatto in modo abusivo (ero minorenne), quindi facevo la staffetta per una focacceria, che mi pagava per i cartoni di pizza trasportata». Vento, pioggia, clienti arrabbiati, pochi spiccioli. Poi? La svolta è arrivata quando diedi un passaggio a un conoscente. Mi disse di allacciare il casco, ne mise uno anche lui e mi raccomandò di rispettare il semaforo, di non “impennare” (non andare su una ruota, ndr), non esagerare con la velocità. Lo accompagnai nei pressi di piazza Municipio, lo vidi entrare in un garage e poi lo riaccompagnai a casa. Al ritorno mi sembrava rilassato, nel senso che mi diceva di andare veloce (diceva: «‘ngasa la mano... dagli in faccia»), che non era più preoccupato per un eventuale posto di blocco. Da allora fui assoldato. Ed è stato un crescendo. Altro che cartoni di pizza sotto la pioggia. Accettai l’offerta. Portare lo «zucchero» a chiamata. Dal giovedì al sabato era come stare in un tiktok, andavo avanti e indietro».

Parla il suo legale e usa la metafora del flipper, ma racconta anche un retroscena: «Non conosceva le strade, tanto che usava due cellulari: uno piccolo, di quelli usa e getta, che ricevevano gli ordini e le indicazioni delle strade». E l’altro? «Era il suo, uno smartphone, che gli serviva per orientarsi, che non conosceva tutte le strade di Napoli. Cresciuto in zona Capodichino, conosceva la via per il Lungomare, ma certe strade a Posillipo o al Vomero le ha apprese facendo su e giù». L’ultimo ricordo? «Donne e uomini, lo scambio avveniva negli androni dei palazzi. Restavo con il casco in testa, c’era chi tremava ma anche chi era disinvolto quando riceveva lo zucchero». Ma qual era la paga di pusher? «No, quella non la ricordo più...».
 

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