Piazza di spaccio gestita dal carcere nel Napoletano, dopo 10 anni chiesto processo per 40

Piazza di spaccio gestita dal carcere nel Napoletano, dopo 10 anni chiesto processo per 40
di Dario Sautto
Giovedì 7 Gennaio 2021, 09:12
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Il boss dal carcere ordinava al figlio come gestire la piazza di spaccio più importante di Castellammare. Dopo dieci anni, la Direzione distrettuale Antimafia di Napoli chiede il processo per una quarantina di persone tra capi, fornitori, vedette e pusher. Un fascicolo finito nel cassetto conteneva già accuse precise per la famiglia Imparato, noti come i «paglialoni», fedelissimi del clan D'Alessandro e gestori dell'enorme piazza di spaccio del «bronx Faito» del rione Savorito, quartiere di palazzine alla periferia stabiese.

Divenuti tristemente noti due anni fa per l'indecoroso spettacolo del falò dell'Immacolata utilizzato per mandare un messaggio di minaccia ai collaboratori di giustizia, gli Imparato erano finiti sotto indagine dell'Antimafia tra il 2010 e il 2011, quando la piazza di spaccio del Savorito era all'apice della sua attività, crocevia dello spaccio di cocaina, crack, marijuana e hashish. Subentrato negli ultimi anni, il pm Giuseppe Cimmarotta ha chiuso le indagini già confezionate un decennio fa dai carabinieri della compagnia di Castellammare di Stabia, chiedendo formalmente il processo per il boss Salvatore Imparato, suo figlio Vincenzo e altri 36 uomini e donne che avrebbero fatto parte del «sistema» spaccio organizzato nell'orbita del clan D'Alessandro.


Le indagini erano partite da un'intercettazione ambientale in carcere, durante un colloquio tra il detenuto boss Salvatore «'o paglialone» e suo figlio Vincenzo, a cui Imparato senior dà le direttive giuste per controllare lo spaccio nel rione Savorito. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Catello Cesarano era il principale referente e braccio destro di Imparato junior e faceva da interfaccia e vero e proprio «dirigente» della piazza di spaccio. Le direttive del boss detenuto passavano tutte per lui. Ma era il fratello Gregorio Cesarano ad organizzare il «lavoro», occupando il ruolo di manager del gruppo: coordinava le vedette, controllava trasporto, consegna, custodia e confezionamento delle dosi, e faceva anche da referente in caso di tutela legale dei detenuti. Poi, via via scendendo, le gerarchie del gruppo prevedevano ruoli diversi, con una rete capillare di vedette e pali. Catello D'Auria fungeva da «vigilante» mentre Afasano trasportava la droga, e gli Onorato e gli Stigliano spacciavano ai clienti. A procacciare gli stupefacenti erano Antonio Commesso, Carlo La Rocca e Giuseppe Millo, con Francesco Graziuso a rifornire direttamente le piazze. Importante la funzione di Antonio Greco, «ragioniere» del gruppo che pagava gli stipendi agli affiliati. Elio Iovino era l'addetto al confezionamento delle dosi e il titolare di una delle basi logistiche, Aniello Sarcinelli l'addetto a cottura, taglio e preparazione delle dosi, infine Salvatore Valanzano l'intermediario per l'acquisto della droga dai broker.
 

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