Ercolano, così muore il mercato delle pezze di Resina: colpa di web e crisi da pandemia

Ercolano, così muore il mercato delle pezze di Resina: colpa di web e crisi da pandemia
di Carla Cataldo
Mercoledì 2 Febbraio 2022, 12:00 - Ultimo agg. 3 Febbraio, 17:27
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Una lingua d'asfalto che accarezza due ali di vicoli cadenti. Come tante ce ne sono negli angoli degradati della città. Eppure via Pugliano, a Ercolano, non è una strada qualsiasi. Lungo questi trecento metri, tra miseria e storia, è nato il mercato del vintage più famoso del Sud Italia. Un centro commerciale a cielo aperto dove è possibile trovare pezzi di alta moda a prezzi stracciati. È il mercato di Resina, così come la città si chiamava prima che nel 1969 riacquistasse il toponimo dell'antica Herculaneum. Un pezzo di storia che rischia di essere travolto dalla crisi e dalla tecnologia. Negli ultimi due anni, complice il Covid, gli affari sono calati dell'80 per cento. Al resto ci hanno pensato app come Vinted esclusivamente dedicate alla compravendita di abbigliamento usato.

Appesi ai muri dei palazzi o sparsi sui banconi si trovano giacche di pelle e vestiti firmati.

Ma anche jeans, balle di stoffa, cappotti di Armani. Ci sono anche le magliette di Maradona, che nessuno vende: «No quella no, la espongo solo per orgoglio», ripete uno dei commercianti della zona. Un mercato fondato sull'arte di arrangiarsi, nato a metà degli anni '40. Gli anni della borsa nera, della guerra, gli anni della Napoli «milionaria» di De Filippo. Subito dopo lo sbarco degli alleati in Italia, il mercato nasce come rivendita di divise militari trafugate ai convogli americani. In quegli anni apparirono i primi jeans.

Il mercato delle pezze, così come era chiamato, si impone a partire dagli anni '60 con la vendita di abiti usati, esposti direttamente per terra. Superata la crisi degli anni del dopo terremoto del 1980, il mercato ritrova nuovo slancio, diventa molto popolare soprattutto per il ritorno di moda degli abiti vintage. Non è raro trovare, ancora oggi, sulle bancarelle veri e propri capi originali d'epoca. Negli anni tra quei banconi si aggirano diversi registi di cinema e teatro per l'acquisto di abiti di scena: «I cento passi», «La meglio gioventù», «Prima dammi un bacio» sono solo alcuni dei film che hanno «indossato» gli abiti di Pugliano. Una storia raccontata anche da un illuminante documentario del 1963 firmato da Sergio Zavoli.

Un passato che ritorna ogni volta che si apre una balla di stoffa che custodisce storie, emozioni. «Sono cresciuto - sospira Antonio, uno dei commercianti - in questa strada, sono qui da sempre. Questi non erano solo abiti usati trenta anni prima. In questi abiti si potevano trovare pezzi di vita delle persone a cui erano appartenuti. Lettere dimenticate, foto e qualche volta soldi. Una volta con mio padre aprimmo una balla di shorts proveniente dall'America e in quasi ogni tasca c'era un dollaro. Arrivammo a mettere insieme oltre 80 dollari e con quei soldi pagammo la balla».

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Oggi però di quel caratteristico mercato è rimasto ben poco. Schiacciato sotto il peso prima della globalizzazione, poi della crisi e infine del Covid, Pugliano è divenuto una piccola appendice dell'intero commercio dell'usato. «Ciò che ha sempre reso eccezionale questo mercato - sostiene Salvatore, un'altra voce del mercato - è l'originalità, il fatto che sia frutto delle nostre tradizioni. I cinesi hanno portato i soldi, ma la loro è un'altra cultura».

La pandemia ha fatto il resto, agevolando la vendita online e cancellando la caratteristica anima del mercato che per anni ha rappresentato uno dei più importanti motori dell'economia cittadina. E così la Portobello della provincia di Napoli annaspa, anche per l'assenza di un pacchetto turistico che spinga i visitatori stranieri a passeggiare nei quartieri del centro storico. Un progetto che in realtà era nelle idee dell'amministrazione comunale ma che è finito in naftalina a causa dell'emergenza sanitaria. Risultato: in pochi mesi i commercianti hanno dovuto fare i conti con incassi ridotti, in alcuni casi anche dell'80 per cento. Una crisi che ha spinto diversi imprenditori a lasciare Pugliano, occupandosi della compravendita di abiti sul web. Una prospettiva che rischia però di spazzare via la storia di quel mercato dell'usato nato per fronteggiare la miseria e che però ha dato lustro e futuro a migliaia di famiglie.

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