Esecuzione penale minorile: dalla logica welfaristica alla logica wel-affaristica

Esecuzione penale minorile: dalla logica welfaristica alla logica wel-affaristica
Mercoledì 3 Aprile 2019, 21:43
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Giovedi 4 aprile alle ore 14.30 presso l’Università Federico II in via Mezzocannone 16 avrà inizio il ciclo di seminari coordinati dal Prof. Giacomo di Gennaro autore di numerosi rapporti sulla criminalità giovanile e del recentissimo volume dal titolo "La messa alla prova per i minori la rassegnazione “entusiasta” di una normativa incompleta" (FrancoAngeli, 2018). Il seminario di apertura vede la partecipazione di Giovanni Colangelo, magistrato, Gianluca Guida, direttore dell’IPM di Nisida, di Giammarco Cifaldi, docente dell’Università di Chieti e di Maria Luisa Iavarone, docente dell’Università di Napoli Parthenope e Presidente dell’Ass.ne ARTUR fondata a seguito dell’accoltellamento del figlio Arturo in centro città a Napoli. Il pomeriggio di confronto avrà lo scopo di rapportare la condizione di devianza sociale potenziale al crimine minorile conclamato tra cultura del controllo e logica welfaristica.

Maria Luisa Iavarone provocatoriamente dichiara: “più che logica welfaristica sarebbe più corretto parlare di logica welaffaristica considerato quanto frutta il business dell’esecuzione penale minorile esterna. Interessi economici che si mescolano ad interessi criminali; basti leggere le recenti inchieste giornalistiche (R.Capacchione per Fanpage) che vedono le comunità affidatarie di progetti di esecuzione penale minorile gestite da cooperative che fanno capo a familiari stretti di esponenti di spicco del clan dei Casalesi. Vaso di pandora scoperchiato seguendo la scia di storie di Instagram girate e postate dal compagno di stanza di Kekko “il nano” il ragazzino che il 18 dicembre del 2017 era nel gruppo degli accoltellatori di Arturo e che, all’epoca dei fatti, ospitato presso una di queste comunità, era in attesa di giudizio. Il giovane, per la sua condizione giudiziaria e per l’evidente pericolo di fuga di notizie e di inquinamento di prove dibattimentali, avrebbe dovuto essere sorvegliato e soprattutto tenuto lontano da cellulari, cosa che puntualmente non avvenne, proprio all’interno di una comunità singolarmente gestita da familiari stretti delle famiglie Schiavone e Zagaria”.

 
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