Faida di camorra a Ponticelli, i killer di D'Onofrio in azione dopo l’assoluzione del boss

Faida di camorra a Ponticelli, i killer di D'Onofrio in azione dopo l’assoluzione del boss
di Giuseppe Crimaldi, Leandro Del Gaudio
Giovedì 7 Ottobre 2021, 23:11 - Ultimo agg. 8 Ottobre, 20:02
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Dicono di essere più forti degli ergastoli, più forti dei pentiti, più forti dello Stato. Ma soprattutto: più forti dei nemici di sempre, al punto tale da replicare colpo su colpo. E con strategie differenti. Con un omicidio strategico, quello di Carmine D’Onofrio, 23enne ucciso per la sua parentela con i De Luca Bossa; e con tatuaggi disegnati sulla pelle al punto tale da rendere riconoscibili sin da subito amici e nemici. È in questo scenario che si sta consumando la faida di Ponticelli, tra bombe condominiali e agguati notturni, tra donne e bambini, a volto scoperto. C’è un retroscena che conviene raccontare a proposito del nuovo focolaio di guerra che si sta consumando nella galassia criminale di Napoli est: la decisione di consumare l’ultimo agguato mortale viene maturata poche ore dopo l’assoluzione rimediata in appello da uno dei boss dei De Micco, che ha di fatto sconfessato le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.

Facciamo un passo indietro, giusto per capire in quale scenario si sta consumando l’ennesimo focolaio di guerra a Napoli. Pochi giorni fa, sono stati i giudici della quarta assise appello (presidente Vescia, a latere Alabiso), a firmare due assoluzioni “pesanti” nel corso del processo per il duplice omicidio di Antonio Minichini (figlio di Anna De Luca Bossa, sorella del boss Antonio) e Gennaro Castaldi: vengono scagionati Salvatore De Micco, presunto boss del clan Bodo (per il tatuaggio degli affiliati che riproduce un fumetto famoso una quindicina di anni fa), e Gennaro Volpicelli; ma soprattutto viene smentito il pentito Domenico Esposito. 

Inutile attendere il deposito delle motivazioni (previste tra 90 giorni), per chi sta in carcere o in strada il messaggio è chiaro: siamo più forti dei pentiti - è questo il refrain - più forti dei nemici di sempre.

Ed è in questo scenario - tra una doppia assoluzione eccellente, la revoca di due ergastoli e il rischio di perdere consenso, dopo alcune scarcerazioni eccellenti - che qualcuno ha agito d’istinto. Specie se bisognava rispondere a quanto avvenuto dieci giorni fa, a chi ha “osato” scagliare una bomba nel cortile di casa di Marco De Micco, attuale reggente dei Bodo, fratello di Salvatore e Luigi (entrambi detenuti), fresco di scarcerazione. Quanto basta a dare una dimostrazione di forza. È così che si consuma il delitto di D’Onofrio. Per gli inquirenti c’è una pista obbligata: potrebbe essere la risposta degli stessi De Micco dopo l’attentato dinamitardo di via Piscettaro di dieci giorni fa. 

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E restiamo all’ordigno di via Piscettaro. Feriti una donna e il figlio di 14 anni, ma soprattutto colpita l’enclave familiare dei Bodo, rafforzato dopo la scarcerazione di Marco De Micco, a dispetto delle condanne rimediate nei due processi per fatti di camorra che lo hanno visto coinvolto. Ricordate il caso sollevato dal “Mattino” la scorsa settimana? Condannato in due processi differenti per associazione camorristica (come esponente dei Cuccaro e come esponente del clan De Micco) a dieci anni nel primo processo e a otto anni nel secondo, Marco De Micco è rimasto in cella per sette anni di fila (tra il conteggio della cosiddetta buona condotta e l’annullamento della Cassazione di una delle due condanne, per il ricalcolo della pena affidato ai giudici di appello). 

È così che potrebbe essere ripartita la faida: libero De Micco, diventa obiettivo di un gruppo in cui sono presenti più famiglie alleate, tra cui i De Luca Bossa, che poi - a loro volta - finiscono al centro della probabile vendetta ordita dai De Micco. Una vendetta che fa leva anche su quanto avvenuto in Assise appello pochi giorni fa. Difesi dai penalisti Claudio Davino, Stefano Sorrentino, Saverio Senese, i due imputati vengono assolti, nelle stesse ore in cui si sta celebrando una sentenza di morte. 

Dai princìpi della sacrosanta giurisdizione, che impongono di cancellare un ergastolo di fronte al ragionevole dubbio emerso dall’istruttoria dibattimentale, a quanto sta avvenendo per strada, in una città in cui l’emergenza armi resta un caso irrisolto. E c’è un altro allarme, che si ripresenta ogni volta che nei quartieri di periferia si riaccendono i fuochi della camorra. È la vicenda delle case popolari. Come avvenuto in altri momenti storici, sia a Ponticelli, che a Scampia o tra Pianura e Soccavo, il clan vincente (o più agguerrito sotto il profilo militare) riesce a governare la vita di decine di persone. In che modo?

«Liberando le case», recuperando gli immobili occupati abusivamente, imponendo - con il sistema della voltura - persone estranee sullo stato di famiglia degli assegnatari, costringendoli ad abbandonare progressivamente il proprio domiciliari. Inchiesta condotta dai pm anticamorra Antonella Fratello e Simona Rossi, sotto il coordinamento dello stesso procuratore Gianni Melillo, rafforzato il presidio di divise a Napoli est, come emerge dalla cronaca di sequestri e denunce messi e a segno in queste ore. Blitz che puntano a bloccare sul nascere nuovi attentati e intimidazioni. 

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