La faida delle donne non è finita: i killer si allenano con sagome femminili

La faida delle donne non è finita: i killer si allenano con sagome femminili
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 1 Agosto 2019, 23:00 - Ultimo agg. 2 Agosto, 09:41
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Le donne, colpire le donne. Allenarsi all’alba nei boschi della valle di Lauro, puntare contro un manichino che indossa un corpetto e una cintura e fare fuoco. Un poco per affinare la mira, ma anche e soprattutto per lanciare messaggi al clan avversario. Siamo tornati. E nel mirino ci siete voi, anzi, ci sono le vostre donne.
 
Esattamente come accadde 17 anni fa, quando la guerra tra i Cava e i Graziano sollevò un moto di indignazione nazionale. Oggi ancora venti di faida a Quindici, alla luce di quanto trovato dai carabinieri del reparto speciale dei Cacciatori del Gargano nelle campagne di Quindici, dove è sbucato un manichino di donna con due fori all’altezza del cuore, provocati da un fucile di precisione. 

Prove tecniche di agguati, cecchini in campo, progetto di attentato. Ieri sono finiti in cella per estorsione i fratelli Fiore e Salvatore Graziano (di 46 e 48 anni, figli del capoclan Luigi Salvatore Graziano); i titolari di imprese di pompe funebri Antonio Mazzocchi (ex poliziotto), e Domenico Desiderio (detto ‘o paradiso), di Ludovico Rega, considerato esponente del clan Graziano. Avrebbero taglieggiato imprenditori impegnati nella gestione dell’impianto di cremazione in località Domicella e terrorizzato dipendenti o manager con minacce esplicite. Ma al di là della vicenda estorsiva, è il clima di vendetta tribale che si respira in un pezzo di regione a fare paura. Inchiesta condotta dai pm Luigi Landolfi e Simona Rossi, sotto il coordinamento dell’aggiunto Giuseppe Borrelli, c’è la convinzione di un progetto di attentato da parte dei Graziano: volevano uccidere Salvatore Cava, figlio del capoclan Biagio, deceduto nel 2017 dopo di anni di reclusione al 41 bis, e di sua moglie Rosalba Fusco. 

Scrive il gip Leda Rossett: «La recente scarcerazione di Biagio Cava ha nuovamente riacceso gli animi dei protagonisti delle rispettive fazioni, facendo venire alla luce l’inquietante proposito omicidiario manifestato in più occasioni recenti dai coniugi Rosaria Graziano e Antonio Mazzocchi nei confronti di Salvatore Cava e della madre Rosalba Fusco, unitamente alle sorelle dello stesso». Venti di faida, scontro finale alle porte, decisivo il blitz scattato all’alba di ieri, sotto il coordinamento della Procura di Gianni Melillo. Ricordate la faida delle donne di 17 anni fa? Era il 26 maggio del 2002, una serata di primavera a Lauro, quando un’Alfa Romeo con a bordo donne del clan Graziano inseguì una Audi, che trasportava donne legate ai Cava. Nell’inseguimento intervenne anche una terza auto, a bordo della quale viaggiava il boss Salvatore Luigi Graziano, che riuscì a sbarrare la strada alle donne dei Cava, dando inizio alla mattanza. Morirono Clarissa Cava, che aveva solo 16 anni, Michelina Cava, di 51 anni, e Maria Scibelli, 53 anni, rispettivamente figlia, sorella e cognata di Biagio Cava, che all’epoca era detenuto in Francia.

Un bilancio di morte, reso ancora più grave dal fatto che nell’Audi c’era anche Felicetta Cava, altra figlia del boss, all’epoca 19enne, rimasta da allora gravemente ferita. Ma cosa ha provocato un nuovo rischio attentati? Emtrambi i cartelli si sono rafforzati, grazie alla scarcerazione di alcuni elementi di spicco. Prima Fiore e Salvatore Graziano, poi - lo scorso maggio - la recente scarcerazione di Biagio Cava, in un clima reso rovente dagli investimenti pubblici che hanno riguardato la zona della Valle di Diano. In pochi mesi vanno in fumo due bobcat parcheggiati in un piazzale privato, mentre si fa avanti una richiesta di tangente di 70mila euro: è la regola del 3 per cento rispetto all’importo complessivo dei lavori pubblici, all’insegna di una strategia bagnata dal sangue avversario. Dicono al telefono quelli dei Graziano: «A Napoli i napoletani, qua ci siamo noi, chi viene qui ci trova con i mitra in mano nei cantieri». Ed è ancora una donna a commentare la storia dei «mefisto» (passamontagna usati daui killer), mentre all’imprenditore Giuseppe Vintino sono arrivati messaggi via whatsapp fin troppo espliciti: mettersi a posto sul cantiere, pagare il pizzo, c’è qualcuno che rischia la vita. E quel manichino trovato nei boschi sta lì a confermare tutto.
 

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