Fase 3 a Napoli, l'appello dei cinesi: «Un errore rinunciare alle mascherine»

Fase 3 a Napoli, l'appello dei cinesi: «Un errore rinunciare alle mascherine»
di Melina Chiapparino
Lunedì 22 Giugno 2020, 09:00
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Erano stati i primi ad abbassare le saracinesche delle loro attività e a lanciare l'allarme sul rischio di una pandemia. Ora che la comunità cinese di Napoli e della sua provincia ha ripreso a lavorare, gli imprenditori orientali non nascondono le stesse preoccupazioni che avevano prima del lockdown ufficiale. Negozi, centri commerciali e ristoranti che furono chiusi il 27 febbraio nella serrata collettiva adottata come «misura precauzionale per il rischio contagi», oramai funzionano a pieno regime da un mese ma - insistono i cinesi - «la guardia non va abbassata». «Con la nostra strategia di autoisolamento non ci sono stati contagi da Covid tra le comunità cinesi del capoluogo campano e delle sue province» spiega il loro portavoce Wu Zhiqiang che disapprova l'allentamento di alcune misure da oggi non più obbligatorie. «All'inizio nessuno aveva ascoltato le nostre raccomandazioni sull'uso costante delle mascherine e sulla necessità di chiudere subito gli stadi - spiega il 47enne che è presidente del Sindacato Nazionale Cinese a Napoli - ora più che mai bisogna continuare a indossarle anche all'aperto e mantenere chiusi i luoghi dove ci possono essere assembramenti come stadi e cinema».
 

 

La maggior parte delle attività commerciali cinesi, oltre il 90% sul totale delle imprese in Campania, hanno riaperto i battenti dal 18 maggio. La necessità di «recuperare il danno economico è evidente anche nel comparto degli imprenditori orientali» spiega Zhiqiang che molti conoscono con il nome adottivo di Salvo. «Le attività sono state riaperte per consentire la ripresa della nostra economia che ha subìto dei danni notevoli, considerando anche lo stop anticipato rispetto agli altri - spiega il portavoce cinese - abbiamo anche registrato alcuni furti, specie in provincia, che hanno ulteriormente peggiorato le condizioni della ripresa». I cinesi possono contare su una clientela che è ritornata nei loro negozi ma «che non spende più come prima, perché gli utenti acquistano l'indispensabile e molti esercenti si trovano in grande difficoltà con i fitti». «Ormai è passata la paura che aveva indotto inizialmente le persone a disertare il commercio cinese - aggiunge Salvo - però dobbiamo farei i conti con l'assenza di aiuti economici da parte del governo e le spese da sostenere dopo uno stop delle attività così prolungato».

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I ritmi e gli orari di negozi, megastore e ristoranti, sono quelli di sempre e i locali cinesi come tutto il resto del comparto commerciale si sono adeguati alle indicazioni in materia di sanificazione e distanziamento. Non mancano rimedi fai da te come la presenza frequente di teli di plastica con cui sono state isolate le aree deputate alla cassa o la distribuzione di gettoni numerati per controllare il numero di persone all'interno dei punti vendita. «Abbiamo fatto un accordo con le imprese di sanificazione private per garantire che tutte le attività commerciali fossero igienizzate come previsto dalle norme di legge e gli attestati sono esposti all'esterno di negozi e ristoranti - afferma Zhiqiang - oltre questo, ci muniamo di mascherine e guanti». I dispositivi di protezione vengono anche venduti rigorosamente made in China. Nella maggior parte degli store il prezzo di una mascherina chirurgica è un euro, mentre le mascherine Ffp2 generalmente con la valvola vengono vendute ciascuna al prezzo di 4 euro.
 

«Le misure di sicurezza non vanno allentate - aggiunge Salvo - abbiamo l'esempio di Pechino dove si sono riattivati dei focolai e fin dall'inizio abbiamo sostenuto che la mascherina dovrebbe essere obbligatoria sempre, proprio come in Cina». L'appello somiglia a quello di fine febbraio. «Abbiamo paura per la riapertura dello stadio San Paolo, dei cinema e dei luoghi che comportano un assembramento» confessa il portavoce della comunità cinese che prima di tutti aveva lanciato l'allarme sui grandi rischi legati al contagio del Coronavirus. «La nostra comunità ha adottato una strategia di isolamento e stretto monitoraggio di tutti i suoi componenti, per cui oggi possiamo dire di non aver avuto nessun ammalato, almeno in termini di ricovero - continua il 47enne - per questo motivo, chiediamo di stare più attenti perché il pericolo non è scomparso, invece vediamo le persone che si comportano come se il Covid non esistesse più».

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