Federico II di Napoli, è rivolta: «Niente lezioni miste, ora si torni in aula»

Federico II di Napoli, è rivolta: «Niente lezioni miste, ora si torni in aula»
di Mariagiovanna Capone
Martedì 14 Luglio 2020, 08:27 - Ultimo agg. 11:23
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L'università Federico II è in subbuglio. Al centro le modalità del ritorno in aula nel prossimo anno accademico. Discussioni che hanno visto anche assemblee promosse dal movimento «Disintossichiamoci. Sapere per il Futuro», nato nei mesi scorsi e che ha all'attivo 1.600 adesioni. Al centro ci sono le linee di indirizzo per il prossimo semestre del ministero dell'Università che prevedono il ricorso alla didattica blended, ossia una forma mista. Nel documento diffuso da «Disintossichiamoci» si sottolinea che vi sono atenei che stanno interpretando questo concetto distinguendo tra attività da svolgere in presenza (i laboratori) e attività da svolgere in modalità telematica (le lezioni frontali). In altri, invece, per didattica mista si intende la formula secondo cui il docente lavora in aula con alcuni studenti ed è simultaneamente collegato online con altri studenti che seguono da remoto. La seconda opzione, che porterà a restyling delle aule che saranno provviste di videocamere, provoca il «profondo dissenso» nella Federico II. I docenti elencano vari motivi alla base della loro posizione, tra cui una trasformazione dell'idea stessa di lezione, una messa in pericolo della libertà di insegnamento, e un possibile controllo a distanza dei docenti e degli studenti. I docenti aderenti sottolineano che, tra l'altro, ci sarebbero modi alternativi per realizzare la didattica mista ad esempio con lezioni teoriche in remoto per tutti e solo laboratori o esercitazioni in presenza a gruppi; oppure lezioni in presenza per le sole matricole divise su più aule con sdoppiamento dei corsi. Per ora l'unico dipartimento ad avere scelto la proposta delle lezioni curriculari interamente in remoto è il Dipartimento di Studi Umanistici diretto da Edoardo Massimilla, che ha accolto in parte le preoccupazioni di docenti e aderenti del movimento «Disintossichiamoci».

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LE LINEE GUIDA
Riflessioni su che didattica proporre in ateneo sono arrivate da Valeria Pinto, docente di Filosofia teoretica, che ha voluto sottolineare in particolare come la didattica blended con parte degli studenti in aula e parte a casa possa creare una profonda trasformazione del paradigma della didattica. «Occorre fare distinzione tra didattica di emergenza che noi docenti abbiamo portato avanti in questi mesi, e altro» interviene Melina Cappelli, ricercatrice di Statistica al Dipartimento di Scienze Politiche che pure appoggia il documento. «Se c'è ancora l'emergenza dovremmo fare tutti lezioni a distanza, se non c'è emergenza allora ritorniamo in aula. L'impressione è di trovarsi di fronte all'accelerazione di un cambiamento che rischia di diventare sistemico e di trasformare le università pubbliche in atenei in parte telematici, il tutto affermando si torna in aula. Credo - continua Cappelli - che sarebbe stato necessario un confronto ampio in primis in seno al senato accademico invece le linee guida ce le siamo ritrovate con tutte le loro ambiguità». Uno dei motivi principali per cui i docenti si oppongono alla didattica blended, è la presenza di videocamere in aula.

LA DIDATTICA
«Per noi la didattica in presenza è la forza dell'Università prosegue Cappelli - è ciò che permette la reale crescita culturale e personale degli studenti. Una telecamera che inquadra la mia nuca, con problemi di luminosità e audio che insistono nelle aule, che valore può portare a uno studente?». C'è poi la questione di privacy, poiché la videosorveglianza sul posto di lavoro è vietata dalla legge. «Rivendichiamo il diritto d'autore sulle nostre lezioni, che può essere ceduto all'ateneo solo con nostro consenso, e in particolare il diritto all'integrità dell'opera e quindi a non vedere le nostre lezioni ridotte in pillole; diciamo quindi no anche alla messa online o al riutilizzo delle nostre registrazioni» precisa la ricercatrice. Senza contare che «a differenza di quanto si sostiene, non è una didattica inclusiva, è poco efficace, non accettabile dal punto di vista lavorativo e poco solida giuridicamente. Chiediamo quindi che a tutti gli studenti siano garantite le medesime condizioni di fruizione e di interazione.

Il blended, nella forma proposta, è una strada che non bisogna imboccare».

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