Il miglio d'oro della camorra: droga e boom turistico all'ombra di 54 cosche

Il miglio d'oro della camorra: droga e boom turistico all'ombra di 54 cosche
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 15 Aprile 2019, 07:00 - Ultimo agg. 11:03
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Un po' Olanda, un po' Spagna, un po' Marocco. E un poco Puglia. Si parlano tante lingue da queste parti, qui nella fetta di area metropolitana più popolosa d'Italia (densità abitativa tra le più alte al mondo), tra la periferia orientale di Napoli e la zona nolana e vesuviana, per poi approdare all'area stabiese, fino alle meraviglie paesaggistiche della penisola sorrentina. Un mondo a parte, per gli inquirenti anticamorra - siamo nell'area meridionale e orientale di Napoli - che hanno censito in questi mesi la coesistenza di ben 54 famiglie criminali (che si uniscono alle ottanta famiglie del centro napoletano e alla trentina di cosche dell'area nord occidentale, per un totale di 160 clan censiti dalla Dia). Tutte insieme, gomito a gomito, in una coesistenza dettata dagli affari, all'ombra di dynasty di antico lignaggio e di nuove leve date come emergenti. Un miracolo di diplomazia mafiosa? Niente affatto, a leggere la ricostruzione degli analisti della Dia (sotto la guida del capocentro Lucio Vasaturo), nella relazione semestrale datata 2018.

Vocazioni, business, attitudini diverse, che trovano punti di contatto: la droga, le imprese, il food e il turismo sono i talenti di vecchi e nuovi clan dell'area a sud di Napoli.
 
Partiamo dai traffici di sostanze stupefacenti. Entrano nella poco lusinghiera classifica della Dia, Limelli-Vangone-Gallo di Torre Annunziata, che per anni ha operato le cosiddette «puntate» in Olanda, anche grazie alla mediazione di cittadini sudamericani, veri e propri broker del settore. Investimenti a terra, soldi che passano nelle mani di un paio di intermediari, che consento di acquistare stock di stupefacenti in Olanda, per poi rivendere a buon mercato. Dove? Non solo nelle zone locali, tra i vari «piano Napoli» di edilizia popolare creati dopo il terremoto dell'Ottanta, ma anche in altre regioni. È in questo versante, che gli inquirenti segnalano la strategia del gruppo Scarpa, nella sua capacità di organizzare triangolazioni con i Paesi bassi e con alcune località pugliesi: cocaina a fare da punto di contatto tra famiglie un tempo di origine contadina, oggi sempre più vicine all'ombra di gomorra.

Ma esistono altri comuni dell'area vesuviana che sono la naturale continuazione della camorra napoletana, mai come in questo caso in espansione territoriale. E le indagini cristallizzano un fenomeno in particolare: quello delle occupazioni abusive di case popolari, che dai quartieri dormitorio di San Giovanni, Barra e Ponticelli, si è protratta nello scorso decennio anche in comuni come Somma Vesuviana, Mariglianella, Sant'Anastasia.

È qui che va avanti da due anni la guerra tra i Mazzarella e i Cuccaro-Rinaldi, secondo le stesse logiche che si registrano al centro del capoluogo partenopeo (vedi rione Mercato) o a San Giovanni a Teduccio. Prima le case occupate, poi interi nuclei familiari che si guardano in cagnesco da un balcone all'altro, da un palazzo all'altro, in una faida strisciante che di tanto in tanto fa parlare di sè. Come nel 2016, con l'omicidio di Vincenzo De Bernardo tra Somma Vesuviana e Mariglianella, da parte di soggetti legati al clan Rinaldi, che intendevano in questo modo uccidere lo zio del ragazzino che, a soli 17 anni, aveva ammazzato Emanuele Sibillo in via Costa a Napoli. Storie di sbandati e di clan sempre più di periferia? Niente affatto, almeno a giudicare da quanto avviene in alcuni centri cittadini. A Torre del Greco, restano saldamente radicati quelli dei Falanga, ma anche alcuni soggetti degli Ascione Papale (questi ultimi si occupano di stupefacenti); a Torre Annunziata, gli storici Gionta (i Valentini), con il contrapposto clan Gallo (i cavalieri), in uno scenario che - almeno dagli anni Ottanta - presenta contatti o frizioni (a seconda dei periodi) con i D'Alessandro di Castellammare di Stabia e con i Nuvoletta di Marano (esattamente come all'inizio degli anni Ottanta, ai tempi delle inchieste di Giancarlo Siani).

Una galassia completata - solo per rimanere ai più noti - dai Tamarisco, i Chierchia («fransuà»), con decine di famiglie che si contendono apparentamenti e legami con le dynasty più famose. Tanta droga, ma anche tanti affari: quelli a monte di quote societarie inserite in ristoranti e lidi turistici in alcune località balneari, lì sul mare più bello (e costoso) della costa campana.
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