Gaetano Barbuto Ferraiuolo: «Ho perso le gambe e i miei amici ma ritornerò a correre»

Gaetano Barbuto Ferraiuolo: «Ho perso le gambe e i miei amici ma ritornerò a correre»
di Marco Di Caterino
Martedì 8 Dicembre 2020, 12:00 - Ultimo agg. 16:00
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Quattro devastanti interventi chirurgici, uno per l'amputazione di entrambe le gambe, due per ridurre le fratture al bacino e al femore, l'ultimo pochi giorni fa, durato più di tre ore, per tagliare con il bisturi una parte di un femore invaso e mangiato da un virus particolarmente resistente. È il calvario che sta affrontando Gaetano Barbuto Ferraiuolo, il 21enne di Sant'Antimo ferito alle gambe a colpi di pistola la sera del 20 settembre, mentre tornava a casa in auto con un amico, al termine di una lite nata per motivi di viabilità. Settanta giorni in ospedale. E non è finita. Gaetano, quello che si dice un bravo ragazzo, semplice e serio, figlio di persone a modo, accetta di parlare con Il Mattino. Per denunciare ancora una volta l'ingiustizia alla quale lo ha costretto un gruppetto di coetanei violenti e ancora impuniti. Ma anche per raccontare il Natale che sta per affrontare in un letto del Cardarelli. Un Natale di dolore ma anche di speranza. Un racconto in presa diretta, avvenuto in videochiamata, viste le restrizioni dovute alla pandemia. Una sola regola impone: vuole il «tu». 

E allora Gaetano, come stai?
«Sono in convalescenza forzata, dopo l'ultima operazione che mi ha accorciato ancora un po' (sorride).

L'infezione non è andata completamente via. Ma questa mattina dopo la visita il primario mi ha detto che tutto procede, anche se lentamente, per il verso giusto. Ho quel che resta della gamba attaccato a una macchina che pompa ossigeno. Sono un mezzo androide, prima di diventarlo per intero quando camminerò sulle protesi. Perché camminerò. Di questo sono certo».

Grinta ma anche ironia. È così che ti dai coraggio?
«Forse. Ma sono avvolto in una sorta di nido amorevole tessuto dall'affetto dei miei genitori e degli zii, ma anche dai dottori e dagli infermieri del Cardarelli, che sono davvero bravissimi».

Cosa è cambiato, fuori e dentro di te, più di tutto da quella sera?
«A parte il cambiamento nel fisico che mi costerà altri dolori e sacrifici - per i quali, voglio dirlo, sono preparato come non mai - posso dire che il Gaetano di prima è morto e sepolto. Ora c'è un altro Gaetano. Molto diverso».

Nel senso?
«Prima di tutto questo la mia vita erano gli amici. Li chiamavo fratelli. Erano il mio mondo. Ora non più. Nessuno si è fatto avanti. Nessuno mi ha cercato. Nessuno ha pianto per essermi fratello nel dolore. Persino la mia città, Sant'Antimo, ha mostrato il suo vero volto. Anzi la nuca, visto che tutti hanno girato la testa da un'altra parte. Forse non conoscono il significato della solidarietà, ma quello dell'omertà lo conoscono bene».

Ti hanno deluso.
«Tutti. Ma in questo mare di disperazione ho riscoperto la mia famiglia. I miei genitori, che pure sono separati, sono stati dei giganti. Come tutti i miei familiari. Si sono caricati sulle spalle un peso che forse io non sopporterei. E la famiglia il vero porto sicuro. Lo dico ai miei coetanei, che vivono in posti dove puoi morire per una sciocchezza. Come è capitato a Simone Frascogna, che aveva appena 19 anni ed è stato ucciso a coltellate la sera del 3 novembre a Casalnuovo. Ci penso tutte le notti e prego per lui. Viviamo in un territorio, in una società in cui io, che non sono morto ma ho perso le gambe, mi devo sentire fortunato. Ma scherziamo?».

Cosa ricordi di quella sera?
«Ho due brutti ricordi e non so quale mi fa più male dentro. Partiamo da quello che mi brucia ancora e che mi ha marchiato per sempre perché non riesco a spiegarmelo. Mentre mi trovavo in balia di quegli aguzzini, e sentivo il caldo del sangue che usciva sulle mie gambe, e che contrastava con un freddo mortale che mi aveva assalito, cercavo con lo sguardo il mio amico, anzi di più, visto che lo consideravo un vero fratello. Era lì immobile, mentre venivo massacrato. Ho cercato di rialzarmi. Niente. Ma non ho mai creduto che fosse arrivata la mia fine. Ho tentato di alzarmi di nuovo. Cercavo disperatamente di correre via, a casa mia. Un incubo che mi ha abbandonato solo perché sono svenuto. Ma quel fratello e il suo immobilismo mi hanno spezzato il cuore. Mi chiedi se ho pregato, quella sera? No. Ma non perché non credo in Dio, è che a quell'età Dio te lo dimentichi. Come la famiglia. Ora qualche volta ci penso e gli chiedo: perché?».

E ai tuoi aggressori, ci pensi?
«Non cerco vendette né punizioni del tipo occhio per occhio. Voglio, pretendo, esigo che venga fatta giustizia. Domando: è giustizia questa? Mi hanno spiegato che è la legge. E allora ci sono leggi che permettono a chi compie questi scempi di essere comunque liberi. Io trascorrerò il Natale in ospedale, loro a casa, con le loro belle famiglie».

Per questo la tua famiglia ha lanciato un appello al presidente Sergio Mattarella.
«Sì, e anche io dico: signor Presidente, tutto questo è giusto? Vorrei che lui, che è il presidente di tutti gli italiani, anche di quelli che vivono a Sant'Antimo, intervenisse. La giustizia aiuta, dà speranza».

Cosa farà Gaetano da grande?
«Imparerò a correre con le protesi. Correre, sì, voglio tornare a vivere con normalità. Poi voglio aiutare il mio fratellino, che ora ha sette anni e che voglio cresca in un futuro migliore. E poi un viaggio. E voglio impegnarmi con tutte le mie forze affinché quello che è accaduto a me non debba mai più ripetersi: mostrerò con orgoglio le mie cicatrici, che valgono più di mille parole». 

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