«La Gaiola si sta sbriciolando,
impossibile contenere le frane»

«La Gaiola si sta sbriciolando, impossibile contenere le frane»
di Gennaro Di Biase
Giovedì 8 Agosto 2019, 09:04 - Ultimo agg. 9 Agosto, 09:10
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Da Posillipo a Nisida, da Trentaremi a Marechiaro è tutto un saliscendi di canoe rosse, gialle e blu trascinate sui fondali bassi, in spiaggia o negli anfratti lontani che il mare crea con gli scogli. Facce giovani, sorridenti e spensierate, che ignorano il pericolo di frana del costone, così bello e antico, sotto il quale si sono appena riparati per riposare un po' tra una remata e l'altra. «L'allarme kayak è serio, e serve sensibilizzazione per evitare una tragedia», spiega Maurizio Simeone, presidente del Centro Studi Interdisciplinari Gaiola Onlus. Insieme alla Federazione Italiana Canoa e Kayak, Simeone ha organizzato la giornata «campagna kayak etico e sostenibile», così si chiama l'evento di oggi sulla spiaggia del porticciolo della Gaiola. «Parleremo a noleggiatori, turisti, curiosi e li informeremo sulle regole di navigazione e sui divieti - prosegue Simeone - Forniremo un qrcode per permettere a chiunque di scaricare le norme in digitale. Il vademecum è scaricabile anche su www.areamarinaprotettagaiola.it/kayak-etico-sostenibile».

 

Con Simeone si parla anche di altre tematiche non da poco, come quella della sicurezza dei costoni posillipini che, a suo dire, «sono naturalmente destinati a crollare, come tutte le falesie e le rocce tufacee del mondo. Hanno 15mila anni. Bisogna sensibilizzare gli uomini perché evitino situazioni di pericolo. Il pericolo oggi nasce col boom del kayak, che, essendo snello e trascinabile, ha reso facilmente raggiungibili aree a rischio che invece prima erano deserte. Le rocce franavano anche prima, ma ora potrebbero franare addosso ai kayakers». La passione del kayak ha prodotto anche un'altra moda, quella del tour accompagnato, che rende tra i 20 e i 30 euro a persona. «Nessuno è autorizzato ad accompagnare passeggeri in kayak, e nemmeno a farli entrare nell'area marina protetta».
Quattro chilometri di costa a rischio cedimento non sono pochi. Che fare per prevenire incidenti?
«Bisogna assolutamente educare i kayakers a evitare le zone a rischio frana, a rispettare i divieti di accesso e la tutela ambientale».
Come mai non vengono rispettati i divieti?
«C'è una situazione di generale anarchia da parte di chi noleggia i kayak o fa tour nell'area marina protetta. Ne vediamo sfrecciare tra i duecentocinquanta e i trecento al giorno solo nei dintorni del Parco Sommerso. Servono le autorizzazioni, e al momento nessun tour è autorizzato. I noleggiatori, va precisato, non svolgono attività all'interno del parco».
La nuova moda è quella di farsi accompagnare in kayak tra gli scogli. Quanto costa una gita?
«Un tour si paga tra i 20 e i 30 euro a persona. Un bel business».
Si può fare qualcosa per evitare che le rocce franino?
«È una questione delicata. Parlo da studioso: tutte le falesie (cioè le pareti rocciose a picco sul mare) del mondo sono destinate a crollare. Si tratta di un arretramento naturale: il mare col tempo scava la parete alla base della falesia e ne mina l'equilibrio. Un processo naturale. Senza considerare che la falesia di tufo, come quella partenopea, frana più spesso».
Si può pensare comunque a un intervento?
«Secondo me no. Si potrebbero realizzare attività temporanee, come le opere di disgaggio. Operazioni in cui personale specializzato accelera la caduta di materiale a rischio. Un disgaggio fu fatto a Trentaremi proprio l'anno scorso, prima che la zona fosse bonificata (era il luogo di una discarica di materiale inerte dell'ex Italsider, ndr). Dopo il disgaggio (che durò una settimana) e la successiva bonifica, l'area è naturalmente tornata a rischio frana».
E le reti d'acciaio per contenere le rocce potrebbero servire? «Imbrigliare tutte le falesie del Golfo partenopeo sarebbe secondo me uno scempio paesaggistico. E ci vorrebbero milioni di euro per realizzare l'opera. Inoltre, i chiodi sul tufo non tengono bene, perché il tufo si sbriciola come sabbia al vento. Già dopo un anno la pietra non sarebbe più a contatto col chiodo. Hanno montato le reti in questione a Coroglio perché sotto c'era la strada».
Quindi quale soluzione c'è per eliminare il pericolo?
«Bisogna sensibilizzare gli uomini affinché evitino situazioni di pericolo. Il pericolo oggi nasce col boom del kayak, che ha reso facilmente raggiungibili aree a rischio prima deserte. C'è poi un altro aspetto che vorrei sottolineare: nessuno immagina che col kayak si possano fare tanti danni al sistema marino. Come mission primaria noi abbiamo la tutela dell'ambiente. I kayak, che vengono trascinati senza regole sui fondali protetti, li rovinano. E distruggono le forme di vita biologica che vivono tra bassa e alta marea. Un esempio su tutti? La Cystoseira, una specie tutelata dalla Comunità europea. Si tratta di un'alga importante nel Mediterraneo. Alla Gaiola stanno morendo».
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