L'ex autista di Riina dipinge la Piovra, Mutolo: «Lo faccio per superare il male»

L'ex autista di Riina dipinge la Piovra, Mutolo: «Lo faccio per superare il male»
di Gigi Di Fiore
Domenica 9 Ottobre 2022, 09:43 - Ultimo agg. 10 Ottobre, 08:36
5 Minuti di Lettura

Inviato a Sant'Anastasia


Arriva, sorreggendosi con un bastone. Sono gli acciacchi di un 82enne, che ha trascorso 28 anni in carcere e gli ultimi 30 da collaboratore di giustizia sotto la vigilanza del Servizio centrale di protezione. È il palermitano Gaspare Mutolo, storico pentito di mafia che iniziò a parlare con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino dopo essere stato anche l'autista di Totò Riina. L'accento siciliano si avverte poco, parla in modo fluido nei locali dell'associazione Campania Bellezza del Creato, di lato al santuario della Madonna dell'Arco, dove è per inaugurare la mostra di 63 suoi quadri, patrocinata da Polis, che testimoniano come «la possibilità di redenzione trovi nella bellezza e nell'arte uno strumento importante» spiega. Un percorso, avviato nel 2016 con Maria Santamaria, curatrice delle sue mostre da anni impegnata in programmi antimafia.

Gaspare, con che ricordo vuole iniziare?
«Con quello fondamentale, della mia scelta a collaborare. Di questo, ricordo la data esatta: 15 dicembre 1991 e un grande uomo che mi diede fiducia e mi convinse.

Si chiamava Giovanni Falcone. Ma fu mia moglie Maria Santina, che oggi non c'è più, a farmi riflettere dopo l'uccisione del giovane figlio di Bontade. Mi disse, ma che state diventando, e mi scosse».

L'immagine della piovra domina molti suoi quadri, il male assoluto. Così vede oggi la mafia?
«La mafia è il male. Ma a me, giovane meccanico figlio di contadini, inutile negarlo sembrava l'unica occasione di scalata sociale. E iniziai con piccole cose, seguendo il padrone dell'officina che era affiliato alla famiglia mafiosa di Paolo Bontade. Ho finito per trafficare in droga, fare estorsione, commettere almeno 28 omicidi direttamente e partecipando ad almeno cento agguati mortali».

Nell'aprile scorso, ha terminato dopo 30 anni il programma di protezione pentiti. Come si sente, in questa nuova tappa della sua vita?
«Un uomo che, con il suo pentimento, ha salvato molte vite, impedito agguati, che si ammazzassero tra loro. Nel Servizio centrale c'era chi ci sosteneva, ma anche chi per sue idee era ostile ai pentiti, diffidandone. Alti e bassi, in questo periodo ho potuto gestire bar e ristoranti poi ceduti. Sono andato avanti con i miei quattro figli, che ora lavorano tutti fuori dalla Sicilia. E adesso sono libero, con una pensione, qualche risparmio e i ricavi dei miei quadri».

Che ricordo ha di Riina?
«Io non riesco a pensare solo il male su un uomo che mi ha voluto bene e mi ha anche salvato la vita in alcune circostanze. Gli ho voluto bene, lui ha accettato in silenzio la mia scelta. Nelle aule di tribunale, lui taceva, altri nei gabbiotti inveivano contro di me, minacciavano. Io andavo avanti, senza temerli».

Come nasce il suo amore per l'arte, la pittura?
«Da mafioso, ero un collezionista d'arte. Amavo i quadri e le auto di lusso. Avevo dei Guttuso, De Chirico, Dalì. Una passione. Nel carcere di Sollicciano conobbi un calabrese che aveva ucciso la moglie, si chiamava Francesco Mungo detto l'Aragonese. Dipingeva e io volevo che mi insegnasse a farlo. Ottenni di essere spostato nella sua cella, fu la mia accademia d'arte. Cominciai a dipingere alberi, frutta e mandavo i dipinti a casa. Un mio cognato mi prendeva in giro dicendomi, non mandarne più che tutta questa foresta rischia di incendiarsi».

Che pensa di Matteo Messina Denaro?
«È il figlio di un boss potente. Vive in una provincia dove gode di forti connivenze e appoggi. Hanno arrestato più di 200 complici della sua latitanza e non lui, nessuno si chiede il perché. Credo che nessuno abbia interesse a vederlo in carcere».

Quando divenne affiliato a Cosa nostra?
«Era il 1973. Pochi sanno che avvenne proprio in Campania, nella masseria di Poggio Vallesana a Marano di Lorenzo Nuvoletta. Con i fratelli Zaza, i Nuvoletta erano in rapporti con noi e con i mafiosi in quegli anni spediti qui in soggiorno obbligato. Fui combinato lì, come si diceva. Entrai nel gruppo Riccobono, che era presente con Riina allora latitante. Noi siciliani fummo estromessi dalla Campania con l'avvento di Cutolo, il più spietato vero mafioso di questa regione».

Che pensa della famosa trattativa Stato-mafia?
«Molti politici volevano una tregua, sollecitati dagli imprenditori. Penso che tentativi ci siano stati».

La mafia è fenomeno solo siciliano?
«La mafia è in tutte le regioni italiane. I mafiosi spediti in soggiorno obbligato hanno trovato disponibilità di imprenditori e malavitosi locali, ampliando il loro potere in tutta l'Italia».

Cosa è per lei la pittura?
«È la mia vita, dopo la morte di mia moglie. Ho il cavalletto accanto al letto, dipingo di getto, solo quadri a olio. La piovra, Falcone, Corleone, le campagne, l'agenda Borsellino, la disgrazia capitata ai magistrati coraggiosi. Credo molto nel messaggio di speranza che i miei quadri possono dare, come testimonianza di una vita che si è riscattata nella bellezza. Ma è molto importante il coraggio del perdono verso chi ha sbagliato che cambia la vita al peggiore criminale».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA