Gennaro Marino, il boss di Secondigliano scagionato dalle accuse di aggressione al padrino di Cosa Nostra

Gennaro Marino, il boss di Secondigliano
Gennaro Marino, il boss di Secondigliano
di Luigi Sabino
Giovedì 9 Marzo 2023, 15:57 - Ultimo agg. 10 Marzo, 07:11
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Gennaro Marino, il boss delle Case Celesti di Secondigliano è stato scagionato dall’accusa di aver aggredito un altro detenuto all’interno del penitenziario di Parma. È quanto deciso dal Gip della città emiliana che ha accolto la tesi difensiva presentata dal legale di Marino, il penalista napoletano Andrea Di Lorenzo dello studio Senese. Argomentazioni che hanno fatto crollare il castello accusatorio nei confronti di quello che è considerato uno dei fondatori della cosiddetta scissione, il cartello malavitoso nato dalla sanguinosa faida con i Di Lauro.

L’episodio sarebbe avvenuto qualche tempo fa e, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe visto come protagonisti Marino e un esponente dalla mafia siciliana.

I due, entrambi sottoposti al regime del cosiddetto carcere duro previsto dall’articolo 41bis si sarebbero incontrati all’interno della sala comune durante l’ora di socialità. Per motivi non ancora chiariti l’incontro, in pochi istanti, si sarebbe trasformato in un corpo a corpo in cui, ad avere la peggio, sarebbe stato il siciliano che, a causa delle percosse, avrebbe riportato anche la frattura di una costola con una prognosi non inferiore ai 40 giorni. Marino, ritenuto l’autore del pestaggio, è stato, quindi, rinviato a giudizio con l’accusa di lesioni personali. Nel dibattimento, però, il colpo di scena. La difesa del ras napoletano, infatti, è riuscita a convincere il magistrato dell’inesistenza del nesso di causalità tra l’aggressione subita dal detenuto e la lesione riportata facendo, quindi, cadere gli addebiti nei confronti di Marino. 

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Un episodio che, ad ogni modo, merita di essere narrato soprattutto per lo spessore criminale della vittima. Ad essere stato picchiato, infatti, non è stato un picciotto qualunque ma addirittura quello che è stato, per un breve, periodo il capomandamento di Resuttana, Giuseppe Fricano. Finito in carcere diversi anni fa a seguito dell’operazione Apocalisse, Fricano, ufficialmente gestore di un’autofficina nel cuore di Palermo, è stato, fino al momento del suo arresto, anche un fedelissimo del padrino Pippo Calò, indicato come il cassiere della mafia. Sarebbe stato proprio Fricano, secondo le informazioni raccolte dagli investigatori, a preoccuparsi del mantenimento del superboss detenuto dal 1985 e anche a occuparsi delle incombenze dei suoi familiari come quella di accompagnare la moglie di Calò ai colloqui. Un legame nato anche in virtù di una parentela acquisita grazie al matrimonio con una nipote del padrino.

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