Gennaro Marino, il boss delle Case Celesti di Secondigliano è stato scagionato dall’accusa di aver aggredito un altro detenuto all’interno del penitenziario di Parma. È quanto deciso dal Gip della città emiliana che ha accolto la tesi difensiva presentata dal legale di Marino, il penalista napoletano Andrea Di Lorenzo dello studio Senese. Argomentazioni che hanno fatto crollare il castello accusatorio nei confronti di quello che è considerato uno dei fondatori della cosiddetta scissione, il cartello malavitoso nato dalla sanguinosa faida con i Di Lauro.
L’episodio sarebbe avvenuto qualche tempo fa e, secondo la ricostruzione dell’accusa, avrebbe visto come protagonisti Marino e un esponente dalla mafia siciliana.
Un episodio che, ad ogni modo, merita di essere narrato soprattutto per lo spessore criminale della vittima. Ad essere stato picchiato, infatti, non è stato un picciotto qualunque ma addirittura quello che è stato, per un breve, periodo il capomandamento di Resuttana, Giuseppe Fricano. Finito in carcere diversi anni fa a seguito dell’operazione Apocalisse, Fricano, ufficialmente gestore di un’autofficina nel cuore di Palermo, è stato, fino al momento del suo arresto, anche un fedelissimo del padrino Pippo Calò, indicato come il cassiere della mafia. Sarebbe stato proprio Fricano, secondo le informazioni raccolte dagli investigatori, a preoccuparsi del mantenimento del superboss detenuto dal 1985 e anche a occuparsi delle incombenze dei suoi familiari come quella di accompagnare la moglie di Calò ai colloqui. Un legame nato anche in virtù di una parentela acquisita grazie al matrimonio con una nipote del padrino.