Il boss e il giallo della sim
​per chiamare solo Lavezzi

Il boss e il giallo della sim per chiamare solo Lavezzi
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 26 Gennaio 2017, 09:07
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Una richiesta a cui era difficile rispondere picche. Anzi: era impossibile, visto lo spessore del richiedente. Ammette, confessa, chiede comprensione, una volta dinanzi al gip che lo ha arrestato. E ricorda quel pomeriggio per il quale ora è finito in cella, quel pomeriggio in piazza dei Martiri, quando viene portato al cospetto di Antonio Lo Russo, che gli chiede un favore. Eccolo Luigi Scognamiglio, meglio noto come «Gigino Elite», il gioielliere finito in manette per favoreggiamento aggravato dal fine mafioso, come custode della prima latitanza di Antonio Lo Russo. Dal negozio di via Calabritto, dove gestisce una gioielleria particolarmente gettonata, alla sala interrogatori del carcere, dove è stato interrogato dal gip Francesca Ferri. Chiara l’accusa, vibrata dal pm anticamorra Enrica Parascandolo, sulla scorta delle dichiarazioni dell’ex boss emergente dei «capitoni», il pentito Antonio Lo Russo: siamo a maggio del 2010, quando Lo Russo jr è da poco sfuggito a un blitz in modo rocambolesco, dando inizio alla sua fuga dalla giustizia destinata a terminare a Nizza, nell’aprile del 2014.

Qual è il primo passo della sua fuga? Va a dormire in casa di «Gigino Elite», in vicoletto Sant’Arpino - ha spiegato il pentito - forte dell’amicizia con il gioielliere indicato come un soggetto pulito. Difeso dal penalista Sergio Cola, Luigi Scognamiglio ha trascorso due notti in cella, quanto basta per leggere la misura cautelare firmata dal gip Ferri. Ha le idee chiare. Ammette e si difende. Sostiene di essere stato indotto a fornire ospitalità a Lo Russo, messo alle strette da una richiesta che non avrebbe potuto rifiutare: «Conosco Lo Russo da quando ero ragazzo, perché siamo nati nello stesso quartiere, vale a dire a Miano. La mia ex moglie era amica della sua moglie, si conoscevano, c’era tra noi quattro un rapporto di cordialità e amicizia». Ma come andarono i fatti? Scognamiglio conferma l’incontro di piazza dei Martiri: «Fui convocato da tale Patanella - è la sintesi dell’interrogatorio -, che mi invitò ad uscire dal negozio e raggiungere piazza dei Martiri, dove c’era una vettura in sosta. Entrai e mi accorsi subito che c’era Antonio Lo Russo, che mi disse che aveva bisogno di me. Fu diretto: sapeva che avevo preso in fitto l’appartamento in vicoletto Sant’Arpino (mi stavo separando da mia moglie), mi chiese esplicitamente di entrare nella mia nuova casa. Impossibile dire di no».

Ma il gioielliere di «Calabritto28» (nome di un modello di orologio e del negozio dell’omonima strada) aveva capito che stava dando ospitalità a un pericoloso boss della camorra napoletana? «Capii che era latitante, che era ricercato, sia dal suo atteggiamento sia dalla sua esplicita ammissione, che mi disse che era in fuga. In tutto è stato con me una decina di giorni, quando si decise a lasciare la mia abitazione. Poi, prima di abbandonare Napoli, Lo Russo trascorse l’ultima notte in zona Capodimonte, nella dependance della villa di mia moglie. Anche in questo caso non potevamo rifiutarci di assecondare la sua richiesta».


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