«Il cantiere ha cancellato il mio bar: costretto a licenziare venti persone»

«Il cantiere ha cancellato il mio bar: costretto a licenziare venti persone»
di Paolo Barbuto
Martedì 18 Settembre 2018, 09:43 - Ultimo agg. 09:52
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Da giugno ad oggi è stato già costretto a lasciare a casa dieci dipendenti, se le cose non cambieranno al più presto altri dieci, cioè la totalità degli addetti, perderanno il lavoro. «Chicco d’Oro», piazza Municipio, il Maschio Angioino è così vicino che ti sembra di poterlo toccare con una mano. Pasticceria prodotta nel laboratorio interno ogni mattina, cucina espressa: turisti e napoletani s’affollavano qui dentro. Il verbo al passato è d’obbligo, perché da più di tre mesi qui dentro arrivano solo pochi avventurosi: il locale è accerchiato dai lavori di restyling della piazza, riuscire a raggiungerlo è complicato. iovanni De Vivo è il titolare, assieme alla sorella, della struttura. 28 anni e uno sguardo preoccupato che si appoggia su uno dei dipendenti storici: «Lo vedi lui? Ha sei figli e lavora qui dal primo giorno d’apertura. Come faccio a dirgli che deve andare a casa perché io qui sono costretto a chiudere?».  
Soffre perché questo locale è la scommessa di un ragazzino (aveva da poco superato i vent’anni quando ha aperto) che s’è trasformato in realtà. Nell’estate del 2015 chiamò Il Mattino per lanciare il suo messaggio: «Offro posti di lavoro a ragazzi volenterosi. Qui arrivano solo spocchiosi che dicono di voler iniziare a settembre perché per agosto hanno già prenotato le vacanze...». Quel messaggio venne raccolto da un gruppo di ragazzi tenaci. «Tutte persone straordinarie. Erano 20 a giugno: dopo i primi due mesi di cantiere davanti al locale e di crollo degli incassi, sono stato costretto con dolore a dire addio ai primi dieci. Ho promesso loro che al termine delle difficoltà ci sarebbe stato nuovamente un lavoro per tutti. Forse non riuscirò a mantenere la promessa, per la prima volta nella mia vita».

Una possibilità per evitare il crac ci sarebbe: «Se avessi certezze sul termine dei lavori potrei chiedere aiuto a una banca, sperare nella comprensione dei fornitori, promettere di saldare i miei debiti a partire da un giorno preciso. Ma quella data dovrebbe dirmela il Comune di Napoli chiarendo, con puntualità, quando il cantiere verrà chiuso. Invece nessuno riesce a darmi certezze e io che sono al quarto mese di sofferenza economica non posso preparare un piano per tentare di salvare il bar che rappresenta il mio futuro e anche quello degli altri dieci dipendenti che sono con me».

S’intristisce De Vivo perché il futuro lo vede nero. Tira fuori da portafogli un foglietto scritto a penna: da un lato i costi fissi, dal fitto del locale alle utenze al personale per il quale paga tasse e contributi fino all’ultimo centesimo; dall’altro lato gli introiti necessari per tenere in piedi l’azienda: «Ecco, adesso siamo qui», e indica il punto di non ritorno, quello nel quale le perdite mensili sono insostenibili. «Se solo avessi una certezza sul completamento dei lavori, farei i salti mortali per resistere. Ma certezze non ne ho. Se nessuno me ne darà sarò costretto a mollare...».
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