Il cimitero dei processi: banca fantasma, il giallo dei milioni mai ritrovati

Il cimitero dei processi: banca fantasma, il giallo dei milioni mai ritrovati
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 15 Marzo 2021, 11:00 - Ultimo agg. 18:45
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Che fine abbiano fatto i risparmi di tanti napoletani resterà probabilmente un mistero. Come rimarrà il giallo di quanti fossero quei soldi messi da parte da imprenditori, politici, semplici cittadini, esperti di moda e pensionati nel giro di pochi mesi: erano due milioni di euro (gli unici ad essere sequestrati)? O erano sedici milioni (come si favoleggiò all'inizio di questa storia)? Erano otto (come ha sostenuto il pm in aula)? E soprattutto: in tasca di chi sono finiti? Ruota attorno a queste domande la vicenda di un clamoroso flop giudiziario, legato all'inchiesta sulla Banca popolare del meridione, l'istituto di credito nato (con tanto di via libera da parte della Consob) per risollevare le sorti dell'economia cittadina, anzi, di un pezzo di sud Italia, dopo la fine dei fasti del Banco di Napoli. Una vicenda che va raccontata dall'ultimo atto: pochi giorni fa, quando il giudice Valeria Ciampelli (sesta penale, Tribunale di Roma) ha dichiarato la sopraggiunta prescrizione per tutti i reati e per tutti gli imputati. Un flop provocato dal trasferimento delle carte da Napoli a Roma, quando - alla fine dei conti - venne fuori che tra le potenziali parti offese c'era anche un giudice onorario. Tempi lunghi, processo azzerato, neanche un verdetto in primo grado per gli imputati. Tra questi, anche Raffaele Cacciapuoti, undici anni fa arrestato come responsabile del crac, catturato a Santo Domingo come il Madoff di via Toledo (appropriazione indebita, Cacciapuoti difeso dall'avvocato Bartolo Senatore). Ricordate quella stagione? Luglio del 2010, il panico in una fetta di Napoli, decine di segnalazioni al Mattino, che tira fuori lo scoop estivo: c'è un uomo che è scappato con i risparmi versati da decine di creditori. C'è chi ha versato la propria liquidazione, chi invece ci ha messo la faccia e ha chiamato a raccolta amici e parenti. C'è addirittura qualcuno che sostiene di avere impegnato un milione di euro di sottoscrizioni. Si mosse la finanza, blitz in via Verdi dove pochi mesi prima era stata inaugurata la sede del comitato promotore dell'iniziativa. Sigilli su brochure, foto, penne e cartelline in pelle con il logo di una banca fantasma. C'erano gli atti della costituzione ufficiale, nella sala delle cerimonie alla Federico II, in presenza di un notaio e di circa 850 sottoscrittori.

Poi cosa accadde? Spiega Raffaele Cacciapuoti, che oggi vive a Napoli: «Non sono il Madoff di via Verdi o di Posillipo o di via Toledo.

Anzi. Sono intenzionato ad andare fino in fondo in questa storia, proporrò appello, voglio un giudizio di merito». 

Calma, calma. Le ricordo che lei è stato arrestato dopo essere fuggito a Santo Domingo, inseguito dalle richieste di restituzione del denaro da parte dei suoi ex soci o sottoscrittori.
«Non sono fuggito e non ho toccato un soldo dei due milioni messi nel fondo indisponibile di cui avevo piena agibilità. E non scappai, le assicuro che non scappai».

E cosa era andato a fare a Santo Domingo, lasciando la sua famiglia Napoli?
«Lavoro e vacanza. Dovevo incontrare il presidente della Repubblica domenicana, che avevo conosciuto durante la mia esperienza di manager. Decisi di partire per primo, aspettavo moglie e figli per poi trascorrere un periodo di relax».

Già, nel frattempo la Finanza entrò nella sede del Comitato e iniziarono indagini, sequestri e mandati di cattura. Insomma, ci spiega cosa accadde?
«Riuscimmo a mettere da parte due milioni di euro presso la Banca di Ancona. Erano i soldi del fondo indisponibile». 

Sì, ma l'inchiesta parla di otto milioni spariti.
«No, quelle erano le sottoscrizioni. A cui non fecero seguito reali versamenti da parte di tutti coloro che avevano aderito al progetto. Mandai in quel periodo oltre ottocento raccomandante per ricordare il dovere di dare seguito agli impegni presi con le sottoscrizioni. Ma fu inutile».

Intanto, però, viaggiava in auto di lusso (che cambiava spesso), abiti di sartoria, orologi Rolex, penne stilografiche con il logo di una banca che non era ancora nata...
«Alt, scusi ma la interrompo di nuovo. Il Rolex mi è stato restituito dal giudice di Roma. E aspetto di avere la mia parte anche dei soldi che vennero sequestrati, ovviamente assieme agli altri che ne hanno diritto. Quanto al resto, le assicuro che era tutto frutto dei miei risparmi, cose di famiglia».

Oggi dice di essere innocente, però anni fa chiese di patteggiare una condanna a 3 anni e 2 mesi, che venne rigettata dai pm. Non lo trova contraddittorio?
«Non vedevo i miei figli da mesi, volevo solo uscire dal processo e da questa storia, fu solo un atto di debolezza. Il mio progetto era vincente, qualcuno mi ha anche rubato l'idea...». 

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