Il figlio del vigilantes ammazzato: «Sui social papà ucciso due volte»

Il figlio del vigilantes ammazzato: «Sui social papà ucciso due volte»
di Ferdinando Bocchetti
Lunedì 19 Marzo 2018, 08:36 - Ultimo agg. 08:43
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«È come se mio padre fosse morto per la seconda volta». Giuseppe Della Corte, il figlio della guardia giurata uccisa da tre minorenni, commenta i messaggi di solidarietà ai presunti assassini sui profili Facebook dei familiari dei ragazzini arrestati dalla polizia. Tra i messaggi che hanno maggiormente colpito la famiglia Della Corte c’è quello di Lucia (nome di fantasia), che alla mamma di uno dei ragazzi coinvolti scrive: «Amica mia, tu non hai sbagliato nulla, per i tuoi figli ti sei spaccata la schiena, non sentirti in colpa. Hai cresciuto i tuoi figli con onestà. Tu sei e sarai una mamma speciale, quindi su con la vita, non ti abbattere». 

Giuseppe, leggendo queste ed altre frasi, qual è stata la tua prima reazione? 
«Siamo rimasti senza parole. Questo è solo uno dei numerosi post che abbiamo avuto modo di leggere. È assurdo, sembra quasi che siano loro le vittime. Nemmeno una parola, invece, per quel che hanno fatto e per ciò che ci hanno tolto. In un altro post uno degli assassini di mio padre viene definito un leone, un uomo forte che non meritava di finire in galera. Come se fossero finiti in carcere per sbaglio, per errore, come se non avessero deciso di afferrare quella spranga e di aggredire brutalmente mio padre». 
Qualcun altro li definisce come dei bravi e umili ragazzi. 
«Ho la sensazione che non vi sia più la distinzione tra il bene e il male. Se uno se ne va in giro a spaccare la testa alle persone e viene pure considerato un bravo ragazzo, allora vuol dire che i valori che mi ha trasmesso mio padre non esistono più. Anch’io ho avuto 16 anni e qualche bravata a quell’età ci può stare. Ma a me e altri miei coetanei non sarebbe mai venuto in mente di compiere una rapina o peggio ancora di aggredire con tanta violenza una persona. Quando avevo l’età degli assassini del mio povero papà al massimo pensavo a giocare a pallone. Tra l’altro avevo persino il terrore di guardarla la pistola d’ordinanza di mio padre e di certo mai mi è sfiorata l’idea di usarla per fare del male a qualcuno».
Contrariamente a ciò che si legge in questi post, i familiari dei tre minorenni vi hanno subito manifestato la loro vicinanza. 
«Certe frasi lasciano il tempo che trovano. Forse, anziché dispiacersi o meravigliarsi per ciò che hanno fatto i loro figli, avrebbero dovuto prestare più attenzione alla loro educazione. Avrebbero dovuto chiedersi cosa facessero in strada fino a tarda notte. Si sarebbero dovuti impegnare ad essere genitori migliori. Avrebbero dovuto avere la stessa attenzione, la stessa cura che mio padre ha avuto per me e per mia sorella».
In che contesto siete cresciuti? Che tipo di famiglia è la vostra?
«Siamo una famiglia di umili origini, dediti al lavoro e senza grilli per la testa. Mio padre era un grande lavoratore, un uomo che ha fatto enormi sacrifici per la famiglia. Mia mamma è casalinga, mentre mia sorella Marta ha la passione per la danza. Io invece lavoro nel settore agricolo. Una famiglia normale, insomma, come tante altre. Mio padre non era un attaccabrighe, non aveva mai avuto problemi con nessuno e non mi ha mai accennato a situazioni di pericolo. Non meritava di fare questa fine, di essere vittima di tanta ferocia».
Franco lavorava spesso di notte. Non avevate mai temuto per la sua incolumità?
«Sapevamo che il suo era un lavoro rischioso, anche perché operava prevalentemente di notte e in zone “calde” come quelle di Piscinola, Scampia e altre della periferia di Napoli, eppure mai ci saremmo aspettati un simile epilogo. È stato un colpo tremendo, un’autentica mazzata. Ci vorrà tempo per metabolizzare il tutto. È una ferita troppo grande».
Qual è l’insegnamento più grande che ti ha lasciato tuo padre?
«Mio padre mi ha insegnato tutto. Era il mio campione, il mio idolo, il mio Messi. Ha rappresentato tanto per me e ancora non riesco ad immaginare la mia vita, il mio futuro senza di lui».
Avevate in comune anche la passione per l’agricoltura.
«In realtà era lui a sostenermi nell’attività che ho intrapreso. Si stava adoperando per farmi inserire al meglio in questo settore. Mi fidavo di lui e dei suoi consigli. Tornato da lavoro, dopo l’abituale turno di notte, ci recavamo in campagna per coltivare la terra e curare il bestiame. Il nostro era un rapporto speciale, trascorrevamo molto tempo insieme». 
Ci sarà giustizia per tuo padre?
«Come hanno già spiegato mia madre e mio zio, che è anche il nostro avvocato, lotteremo con tutte le nostre forze ed energie per avere giustizia, affinché gli assassini siano puniti in modo adeguato. La storia di Franco Della Corte è la storia di un uomo perbene, di una persona mite, che non deve finire nel dimenticatoio. È già accaduto per altri casi e non deve più ripetersi. Abbiamo sete di giustizia, chi ha sbagliato deve pagare».
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