Il tirassegno dei rampolli Gionta:
«Così fu ammazzato Giuseppe»

Il tirassegno dei rampolli Gionta: «Così fu ammazzato Giuseppe»
di Dario Sautto
Domenica 14 Aprile 2019, 12:19 - Ultimo agg. 15:15
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Tre ragazzini di appena sedici anni. Furono loro a sparare all'impazzata dalla casa del boss verso il grattacielo dove viveva Giuseppe Veropalumbo, centrandolo in pieno mentre era seduto a tavola in attesa del Capodanno 2008. E ammazzandolo. Questa è l'ultima pista, la più concreta secondo gli investigatori, che si trovano adesso a un passo dalla risoluzione del più doloroso e tremendo «cold case» di Torre Annunziata, avvenuto in una notte che doveva essere di festa, e che invece causò una delle tante, troppe, vittime innocenti della camorra. Tre minorenni, legati da strettissime parentele con il boss poeta Aldo Gionta, tutti residenti in quel momento negli appartamenti del famigerato Palazzo Fienga, la roccaforte del clan dei «valentini», nel frattempo sgomberata e confiscata. Tre «baby camorristi», che nel frattempo hanno fatto carriera, scalando le gerarchie del clan Gionta e finendo tutti in carcere per reati di camorra. Uno di loro è addirittura detenuto al 41 bis, perché ritenuto più che pericoloso e capace di dare direttive anche dalla cella.

LA CAUTELA
Il profilo dei tre è stato tracciato con una certa attenzione dai poliziotti del commissariato di Torre Annunziata, che stanno indagando agli ordini del dirigente Claudio De Salvo, sul caso riaperto un anno fa dalla Procura di Torre Annunziata in base a nuove risultanze investigative. Una nuova pista, che indicava nell'arma dell'omicidio quella ripescata pochi giorni dopo la tragedia nelle acque del porto di Torre Annunziata dai sommozzatori della Questura. Una soffiata aveva portato gli investigatori su una pistola che aveva sparato di recente causando un omicidio. Non si sapeva quale, fino a qualche mese fa, quando sono entrati in azione droni, calcoli balistici, strumentazioni elettroniche all'avanguardia che hanno permesso di collegare vari tasselli di un puzzle che sembrava impossibile da completare. Innanzitutto la pistola, dunque: un'arma di tipo sportivo, una semiautomatica calibro 9x21 marca Tanfoglio modello Limited 921, cromata, di precisione, infallibile. Capace di colpire anche da grosse distanze. Il recupero di alcune ogive ancora conficcate tra il nono e il decimo piano del palazzone al civico 16 del corso Vittorio Emanuele III hanno confermato che era quella l'arma, sicuramente appartenuta ad uno dei capi del clan Gionta, perché singolare, introvabile, quasi da collezione. Poi la traiettoria, ricostruita con strumentazioni 3D ad altissima precisione che, grazie ai rilievi con il drone e ai calcoli matematici, hanno dato un unico risultato per tutti quei colpi arrivati fino al nono piano, dove il meccanico Giuseppe Veropalumbo stava festeggiando in famiglia, con in braccio la figlia di pochi mesi Ludovica, in cucina accanto a sua moglie Carmela Sermino.

LA SFIDA
Sono partiti con certezza da Palazzo Fienga quei colpi, dal civico 46 di via Bertone e in particolare dal balcone di un appartamento abitato, fino a pochi giorni prima, da uno dei capi del clan, finito in manette in un'operazione anticamorra. Suo figlio è l'ipotesi degli investigatori andò a prendere quell'arma da collezione per usarla, per sparare contro l'edificio in cui viveva «un infame», un collaboratore che era accusato dal clan di aver fornito elementi per l'arresto di uno dei reggenti dei Gionta. Una sfida a lui, allo Stato, alla città, organizzata con due coetanei, e trasformata in tragedia. Oggi quei tre ragazzini terribili che giocavano alla malavita sono tutti in carcere. Giuseppe Veropalumbo, invece, non c'è più da quella sera. Per loro, il procuratore Sandro Pennasilico e l'aggiunto Pierpaolo Filippelli hanno trasmesso gli atti alla Procura per i minorenni di Napoli. L'accusa per tutti è di concorso in omicidio preterintenzionale e porto illegale di arma da fuoco. Quella notte, i tre baby camorristi non furono gli unici a sparare. Le forze dell'ordine, sempre in via Bertone, repertarono almeno 70 bossoli, molti dei quali sparati con il kalashnikov.
 
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