Imbuto giustizia, in Appello 48 mila cause: il macigno sul Tribunale di Napoli

Imbuto giustizia, in Appello 48 mila cause: il macigno sul Tribunale di Napoli
di Viviana Lanza
Sabato 16 Febbraio 2019, 08:00
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Il bilancio più recente dell'affanno giudiziario di Napoli risale a un mese fa quando in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario si sono analizzati i dati e si è definito lo stato di salute della giustizia. La crisi è causata soprattutto dalla sproporzione tra i fascicoli da trattare e le risorse in campo. Il presidente della Corte di Appello Giuseppe De Carolis di Prossedi lo ha spiegato nella sua annuale relazione: «La carenza di organico, acuita dai continui e fisiologici pensionamenti, rischia di vanificare l'impegno di tutti coloro i quali lavorano con dedizione negli uffici giudiziari del distretto». Basti pensare che la mole dei processi è sempre in aumento: solo in un anno nel settore civile ci sono stati 13.552 nuovi processi e nel settore penale 15.609 e la Corte d'Appello con i suoi 48mila procedimenti complessivi pendenti resta purtoppo l'imbuto del sistema. Con le attuali risorse di magistrati e personale amministrativo non si riesce infatti a smaltire ulteriormente un arretrato in parte diminuito rispetto al passato. C'è infatti un solo cancelliere abilitato a trasferire i fascicoli e da solo non è certo in grado di smaltire in tempi ragionevoli la mole di arretrati e di fronteggiare i nuovi processi.
 
Quando un anno fa, con il placet del ministero della Giustizia, si decise di aumentare la pianta organica della Corte d'Appello di Napoli di sette posti di consigliere, ci si auspicava una boccata di ossigeno. Un'unità da destinare alla sezione civile con l'arretrato più risalente nel tempo, e altre sei unità al settore penale. «Tuttavia l'aumento di organico è rimasto solo sulla carta - ha sottolineato De Carolis nella sua relazione - Non si è riusciti a coprire i numerosi posti vacanti di consigliere in Corte di Appello, attualmente 13, in quanto l'ultimo bando straordinario del Consiglio Superiore, che peraltro era limitato alla copertura di soli 3 posti nel settore penale, è andato del tutto deserto non essendo stata presentata alcuna domanda». L'unica soluzione, al momento, appare quella di dichiarare Napoli sede disagiata.

L'inchiesta risale al 1997, il rinvio a giudizio è di un paio di anni dopo. Il processo in primo grado è iniziato nel 2000 e da allora è ancora in corso. Il dibattimento dura quindi da oltre diciotto anni. È il caso del processo al clan Stabile di Chiaiano, un'organizzazione camorristica capace, negli anni 90, di monopolizzare un intero quartiere a partire dalla gestione delle case popolari. Le accuse al centro del processo riguardano reati di associazione camorristica e traffico di droga. Sono state celebrate circa duecento udienze e ancora non c'è una sentenza. A ripercorrere la cronistoria del dibattimento balza agli occhi la serie di cambiamenti di collegio. Il processo è passato dalla prima alla sesta sezione del Tribunale di Napoli più volte, e ogni volta è ripartito da zero, con la ripetizione di atti istruttori già compiuti e l'esame di testimoni già sentiti in aula.

Non solo il caso delle motivazioni di una sentenza che da due anni ancora non sono depositate, come raccontato l'altro giorno. A Napoli l'emergenza giustizia è anche un dibattimento con diciassette imputati che non si riesce a concludere a distanza di ventidue anni dagli arresti. Oggi, come appare scontato, gli imputati sono tutti liberi per questo processo. Tra loro ci sono i fratelli Gaetano, Ciro, Salvatore e Giuseppe Stabile, considerati il gotha della mala di Chiaiano. La decorrenza dei termini di custodia cautelare ci fu nel dicembre 2002. A rendere singolare la storia di questo processo è che i cambi di collegio, in diciotto anni, sono stati più di uno, per via di incompatibilità di giudici e motivazioni varie. Di mezzo ci si mise pure il tempo perso per rintracciare un collaboratore di giustizia che nel frattempo si era reso irreperibile, perdendo il programma di protezione, salvo poi, dopo mesi, essere rintracciato e sentito in aula. E l'alternarsi del pubblico ministero titolare della pubblica accusa. Ad ogni modo, a passo di gambero, il processo arrivò a marzo 2014 alla fase della requisitoria.

Il pm di udienza chiese condanne tra i 3 e i 24 anni di carcere per gli imputati. Quindi la parola passò agli avvocati per le arringhe difensive, ma non si fece in tempo ad arrivare alla sentenza perché ci fu un nuovo cambio di collegio e il dibattimento dovette ripartire ancora una volta. Sono trascorsi altri quattro anni, molti dei reati contestati si sono prescritti, resistono le accuse di associazione finalizzata al traffico di droga e di associazione camorristica. L'ultima udienza in ordine di tempo si è svolta a fine gennaio e ha richiesto un nuovo stop, perché si è dovuto prendere atto del decesso di due avvocati del collegio di difesa, invitando gli imputati a nominare nuovi difensori. Il rinvio è ad aprile prossimo. L'attesa continua.
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