In fila alla Caritas di Sant'Antimo per un pasto caldo: «Troppi giorni a casa senza paga»

Il volontario Domenico Terracciano mentre consegna il pasto a Skaby
Il volontario Domenico Terracciano mentre consegna il pasto a Skaby
di Rosaria Rocca
Mercoledì 23 Febbraio 2022, 18:40 - Ultimo agg. 24 Febbraio, 12:07
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Esiste un'altra città lontana dai lampioni che illuminano le strade principali. A Sant'Antimo basta spostarsi di pochi metri dal centro per scoprire un mondo di fantasmi, costituito da quelli che attendono in fila per poter prendere un piatto caldo alla Caritas Domus San Francesco del Santuario. Monsignor Francesco Campanile, Domenico Terracciano e Rosa Femiano conoscono la storia di ogni mano tesa e di ciascuna di quelle voci tremanti. Quasi tutti cercano di nascondere lo sguardo. Occhi bassi e passo esitante evitano di rivolgere la parola a chi non conoscono perché, oltre la vergogna, c'è tanta diffidenza. In fila per ritirare il sacchetto di vivande, però, si notano degli occhi diversi: sono quelli di Skaby. Non ha paura di parlare ed è un fiume in piena mentre racconta la sua vita: «Sono arrivato con un barcone a Lampedusa e ormai sono 19 anni che ho lasciato il Marocco. Dopo la morte di mio padre ho preso questa decisione. Quando sono arrivato in Italia sono stato truffato, mi hanno preso i soldi dicendomi che mi avrebbero dato i documenti e poi sono spariti. Vivo a Sant'Antimo con mia moglie, che mi ha raggiunto dopo, e con i miei due figli. Lavoro all'autolavaggio e ogni mattina spero in una bella giornata perché quando piove io torno a casa senza soldi. Al massimo riesco a guadagnare 25 euro e mi devono bastare per tutte le spese tra affitto, bollette e altre cose che servono ai bambini». 

L'emergenza sanitaria ha segnato duramente questa famiglia che ha dovuto fare i conti con la fame e con un terribile lutto: «Mia moglie era incinta di sei mesi quando ha preso il Covid.

Ha lottato e ora sta bene ma il nostro bambino è morto. Ero disperato quel giorno quando sono arrivato qui alla Caritas alla ricerca di una bottiglia di latte e di qualche biscotto. Non volevo niente per me ma i miei figli avevano bisogno di mangiare, così mi sono deciso a chiedere aiuto. Voglio un futuro diverso per i miei figli e continuo a crederci. Sono venuto in Italia perché speravo in un mondo nuovo e non posso mollare proprio ora». 

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Quella di Skaby è solo una delle tante storie. Non sono solo numeri e quantità di pasti da preparare, ma persone. Ci sono ex imprenditori falliti, madri single, mariti separati e figli rimasti soli. Una città sotto la città di cui nessuno parla abbastanza. Lontano dalle vetrine del centro c'è chi mette l'orgoglio da parte per un piatto di pasta e un pezzo di pane. 

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