La camorra brucia i manichini dei pentiti, Cafiero de Raho: «Segnali di insofferenza per i successi dello Stato»

La camorra brucia i manichini dei pentiti, Cafiero de Raho: «Segnali di insofferenza per i successi dello Stato»
di Gigi Di Fiore
Domenica 9 Dicembre 2018, 09:00 - Ultimo agg. 15:48
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Quattro giorni fa era alla conferenza stampa con i suoi colleghi della Procura di Reggio Calabria per illustrare l'operazione che ha portato a 90 arresti per gli affari della 'ndrangheta in più Paesi europei. Dal suo osservatorio, il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho mantiene il controllo costante sulla realtà della criminalità organizzata in Italia. E non gli sfuggono episodi all'apparenza minori, come quello accaduto nel rione Savorito a Castellammare.

Procuratore Cafiero de Raho, il manichino bruciato con il cartello dalla scritta anti-pentiti è dimostrazione di una fase di arresto nelle collaborazioni con la giustizia?
«Non direi, non mi risulta esistano al momento stasi negli avvii di collaborazioni con gli inquirenti da parte di personaggi affiliati ai diversi gruppi mafiosi. Registro invece una recrudescenza di intolleranza nei confronti dell'azione di controllo e repressione dello Stato».

Perché intolleranza?
«Vedo messaggi chiari in alcuni episodi degli ultimi giorni, accaduti sempre in provincia di Napoli. Un colpire, con gesti violenti, realtà simbolo dell'azione positiva dello Stato».

Quali episodi mette in collegamento?
«Qualche giorno fa, il 30 novembre scorso, è stato dato fuoco alle casette che ospitano il mercatino natalizio in prossimità del castello mediceo ad Ottaviano. Un luogo simbolico, recuperato alla collettività e alla socialità. Il castello è la struttura storica che fu acquistata da Raffaele Cutolo. Recuperare l'area per una funzione di condivisione sociale é messaggio positivo che sembra aver dato fastidio».
 
In questo scenario inserisce anche il falò contro i collaboratori di giustizia a Castellammare?

«Sì. Dopo Ottaviano, ecco Castellammare a pochi giorni dall'importante operazione della Dda napoletana in quella realtà dove gli intrecci tra gruppi camorristici e colletti bianchi sono stati più volte accertati da varie indagini».

Crede che questi gesti siano legati a delle inchieste precise?
«Non necessariamente. Sono gesti che dimostrano soprattutto una cultura di insofferenza ai controlli, alla legalità, all'azione positiva delle inchieste giudiziarie. È la dimostrazione che esiste qualcosa di più oltre la presenza fisica di famiglie camorristiche che, in alcuni quartieri della città di Napoli, si esprimono oggi con le famose stese».

Cosa intende per qualcosa di più?
«Mi riferisco a un preoccupante contesto culturale negativo, che si manifesta con certi segnali all'apparenza insignificanti, da non sottovalutare».

A suo parere, da cosa è favorito questo clima culturale?
«Dal silenzio che avverto da tempo. Di mafie non si parla quasi mai. L'attenzione di testate nazionali viene attirata solo da indagini particolari come quelle di Palermo o Reggio Calabria. Silenzio, invece, su altrettanto delicate indagini a Foggia, o sulle diverse operazioni della Dda napoletana».

Pensa quindi che ci sia scarsa attenzione e poco interesse sui risultati delle attività investigative che riguardano le varie forme di criminalità organizzata?
«Sì, se ne parla poco a livello nazionale e ad occuparsene è quasi sempre, con assiduità, solo la stampa locale. Avviene in Calabria, ma avviene anche in altre regioni italiane. Un ritorno all'indietro che giudico molto pericoloso».

Perché?
«Diffondere e parlare dei risultati che lo Stato raggiunge nella repressione dei gruppi mafiosi significa lanciare un messaggio positivo, che in alcuni ambienti diventa un avvertimento. Significa far capire che associarsi agli interessi di gruppi mafiosi non conviene, perché produce solo una ricchezza effimera con la prospettiva concreta di un futuro in galera seguito dal sequestro di quanto guadagnato».

Il silenzio aiuta le mafie?
«È proprio questo che intendo. Il silenzio sembra legittimare chi agisce nell'illegalità. Legittima anche chi si ritiene autorizzato a bruciare in piazza manichini con messaggi intimidatori, come è successo a Castellammare».

Insomma, vede un generale calo di attenzione sulle mafie?
«Sicuramente. Un calo nel sistema generale dell'informazione, non certo nell'impegno dell'attività della polizia giudiziaria e dei magistrati. L'informazione ha un valore educativo e lo ha ancora di più sui fenomeni criminali».

Pensa ci siano disegni precisi dietro questo silenzio?
«Avverto un clima generale, che sembra dire che oggi le mafie non sono più un problema, che se non sparano non devono preoccupare. E invece la criminalità organizzata continua a inquinare la vita pubblica e ad occupare l'economia, utilizzando altri metodi. Occorre continua attenzione e riflettori più accesi nell'interesse nazionale».
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