Il dato è allarmante e sconcertante, il 5,4 per cento della popolazione dell’isola d’Ischia è da considerare in stato di povertà. L’effetto del biennio di pandemia, della crisi economica e dell’inflazione si sta abbattendo sulla maggiore isola del golfo di Napoli e svela le zone d’ombra di una realtà sociale che, alle spalle di un’industria turistica da record, vede moltiplicarsi i disagi dei lavoratori in modo esponenziale. A denunciarlo è Gennaro Savio, presidente del Comitato di lotta dei lavoratori stagionali e non dell’isola d’Ischia che, per venerdì 25 febbraio a partire dalle ore 9, ha organizzato un presidio di protesta a Ischia Ponte nel piazzale antistante l’ufficio Inps, sede simbolo di un’istituzione che è la cartina di tornasole delle problematiche che attanagliano migliaia di cittadini.
«Su quella che tutti considerano l’opulenta isola d’Ischia, al momento sono circa 1.500 le famiglie che si rivolgono alla Caritas e alle altre associazioni di volontariato per ricevere qualche pacco di alimenti di prima necessità o qualche aiuto per pagare luce e gas.
Per moltissimi ischitani che affrontano il baratro con dignità confidando nella solidarietà – aspetti di una forbice sociale sottolineati con forza anche dalla Chiesa locale negli ultimi anni – la realtà ha superato i confini della sopportazione.
«Al contrario di chi lavora in città – continua Savio - sull’isola si vive perlopiù di lavoro stagionale, ovvero precario a vita visto che al massimo si è occupati per solo cinque, sei mesi all’anno con l’aggravante che al contrario del passato, d’inverno non si ha più diritto all’indennità di disoccupazione di sei mesi che è stata dimezzata dall’introduzione della Naspi che, incredibile a dirsi, nonostante si sia ridotta ad una vera e propria elemosina di Stato, l’Inps ne ritarda il pagamento con tempi biblici. Migliaia di lavoratori si sono visti approvare la domanda Naspi, ma non hanno ancora percepito un centesimo di euro. Ci mobilitiamo per chiedere con forza un lavoro dignitoso annuale e non stagionale e sfruttato; e per pretendere dall’Inps il puntuale pagamento della Naspi da portare a sei mesi così com’era ai tempi dell’indennità di disoccupazione».
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