Camorra, le prove dell'abbraccio tra clan e borghesia di Napoli tra petrolio, food e gioielli

Camorra, le prove dell'abbraccio tra clan e borghesia di Napoli tra petrolio, food e gioielli
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 14 Maggio 2021, 15:00 - Ultimo agg. 15 Maggio, 10:02
5 Minuti di Lettura

C'è chi è arrivato in Maserati nello studio di viale Michelangelo: la consulente finanziaria, reduce da una riunione con gli industriali («oggi ho mangiato troppo...»); un promoter, un commercialista e poi «lui». Chi è «lui»? A leggere le carte della Dda, «lui» non viene mai nominato per esteso: il «lui» di questa storia viene chiamato «parente», «cugino», «geometra», ma mai per nome. Tanto che quando «lui» prende la parola, a fine riunione, lì nello studio di viale Michelangelo, fa una premessa: «Antonio, chiamatemi solo Antonio». Ci pensano invece i pm della Dda a dare una identità a quella voce: si tratta di Antonio Moccia, di recente arrestato su richiesta della Procura di Roma (indagini nate a Napoli) che punta a verificare gli interessi della famiglia di Afragola nell'affare carburanti. Nel 79, Antonio Moccia era ancora minorenne quando uccise l'assassino del padre, colpendolo a Castelcapuano, l'antico Tribunale. Da allora, respinge le accuse di essere capo di un clan familiare e solo di recente è finito in cella per la storia dei petroli. Già, i petroli. È l'inchiesta che ha visto coinvolti la cantante Ana Betz (al secolo Anna Bettozzi), fondata sulle indagini di tre Procure (Napoli, Roma e Reggio Calabria). Ma torniamo al summit vomerese. Inchiesta del pm anticamorra Ida Teresi, Antonio Moccia è in viale Michelangelo nello studio del commercialista Claudio Abbondandolo (difeso dal penalista Gennaro Lepre, si dice estraneo alla camorra): in ballo l'acquisto di un deposito industriale (affare milionario) dove conservare le importazioni di petroli dall'estero, in un regime fiscale agevolato. Intestazione fittizia, autoriciclaggio. Seduti attorno allo stesso tavolo, nel cuore della città che conta, ci sono mondi diversi. O meglio: diversi modi di essere Napoli, in una scena che - al di là di quanto sarà verificato nel corso di un processo -, sembra fatta apposta per confermare l'intervista rilasciata dal procuratore di Napoli Gianni Melillo al nostro giornale: «C'è una borghesia camorrista all'ombra dei clan», dice dopo quattro anni alla guida dell'ufficio inquirente più grande d'Italia. 

Città porosa, dove i soldi sporchi di droga e racket vengono riciclati in attività che diventano virtuose, al punto tale da tenere in vita una fetta di economia cittadina. Ma restiamo al centro di Napoli, tanto per rispettare l'agenda dei processi in calendario in questi giorni. Aula bunker, ieri mattina, novanta imputati dinanzi al gup Ciollaro. È l'inchiesta culminata all'Alleanza di Secondigliano. Accanto ai boss Bosti e Contini, accanto alle tre sorelle Aieta, c'è un intero mondo imprenditoriale che è stato colpito: food e abbigliamento, distributori di gas, gioielli, negozi al dettaglio. Laureati alla Federico II, esponenti di categorie commerciali, liberi professionisti nello stesso calderone. Sono in attesa della sentenza di primo grado, in un altro fascicolo, i due fratelli D'Ari, medici ritenuti responsabili di essere entrati in affari con esponenti dei Lo Russo. Inchiesta del pm Enrica Parascandolo, sotto i riflettori il presunto patto per tenere in piedi un ristorante del lungomare: da un lato il nome di due professionisti, dall'altro soldi da ripulire. In mezzo, un accordo ai piani alti di una delle torri del Centro direzionale, il cuore degli affari a Napoli. Borghesia a tavola con i killer? In attesa della sentenza di primo grado (i due medici, difesi dal penalista Roberto Saccomanno, respingono le accuse della Dda), pesano le indagini condotte negli ultimi anni sui capitali sporchi, con la nascita di società cartiere che producono fatture per operazioni inesistenti: è di ieri - giusto per la cronaca - l'ordine di arresto del gip Caputo per decine di professionisti per reati fiscali. In sintesi, resta una domanda: che fine fanno i soldi della droga del boss Vincenzo Cutolo «Borotalco» di rione Traiano, quello che versa fino a 20mila euro al mese ai suoi killer di fiducia? E cosa replicano gli esponenti delle categorie professionali all'analisi del procuratore Melillo? Spiega Vincenzo Moretta, presidente dell'Ordine dei commercialisti: «L'ordine dei commercialisti è un presidio di legalità, lì dove emergono criticità attiviamo l'organo di disciplina per le verifiche del caso e siamo pronti a collaborare con gli inquirenti, specie nelle aree più esposte, a proposito della gestione dei beni confiscati o nei casi di amministrazione giudiziaria. Ogni categoria ha le sue mele marce, ma qui da noi l'attenzione è altissima». Dello stesso avviso il presidente della camera penale Marco Campora, che spiega: «L'esperienza ci insegna che la criminalità non ha esitato a utilizzare esponenti della società civile, ma ritengo che si tratti di fatti isolati. È più giusto parlare di borghesia distratta rispetto al fenomeno camorra, auspico che la classe dirigente sappia affrontare una realtà tanto complessa.

Siamo pronti ad isolare eventuali irregolarità tra i nostri iscritti, credo che la nostra categoria sia sana e rigorosa nel rispetto delle regole».

© RIPRODUZIONE RISERVATA