Saviano a El Pais: «C'è gente
a Napoli che mi sputa addosso»

Roberto Saviano
Roberto Saviano
di Paola Del Vecchio
Martedì 29 Agosto 2017, 17:12 - Ultimo agg. 20:14
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Madrid. «C’è una parte di Napoli che è molto ostile con me. C’è gente che mi sputa addosso. Dicono che ho fatto denaro a costo della città». E’ quanto assicura Roberto Saviano in una lunga intervista al settimanale de El Pais rilasciata in vista della pubblicazione, a settembre in Spagna, del libro ‘La paranza dei bambini’. Tradotto come ‘La banda de los niños’ ed edito da Anagrama, sarà presentato dallo stesso autore a Madrid e Barcellona  l’11 e il 12 settembre prossimi. «La reclusione fa parte della sua leggenda e anche – non lo occulta – del fascino per i suoi libri, serie e film», annota Vicente Verdù, autore dell’intervista che, per motivi di sicurezza, si è svolta in auto, sotto l’attenta vigilanza dei 5 carabinieri di scorta dello scrittore, invece che “nell’albergo di Bologna dove era stata fissata”.

È preoccupato, Saviano, che l’universo che ha creato cominci a convertirsi in un punto di riferimento per i delinquenti? E una delle domande, alla quale l’autore di Gomorra replica: “I camorristi usano le stesse parole dei miei personaggi e ne sono coscienti. Ma non scrivere su questi temi non eviterà che continueranno a fare quello che danno. Se non hanno Gomorra, avranno Scarface o Il Padrino. Sono criminali, che vedono in queste storie la propria rappresentazione.…Ma la cosa strana – aggiunge Saviano – è che a Napoli ora hanno aperto un ufficio antidiffamazione e denunciano quanti considerano parlino male della città».

Il riferimento è alle polemiche sollevate dai critici dello scrittore e sceneggiatore in terra partenopea, che lo accusano di lucrare sull’immagine negativa della città, e che continuano ad avere strascichi. E lei è il primo della lista?, gli chiede l’intervistatore. «Sì – ammette l’autore di Zero, zero, zero – Ma quello che faccio non è parlare male della città. E’ raccontare una ferita perché si risolva. Il fatto che i delinquenti s’ispirino alla serie, come è accaduto con Breaking Bad, non significa che non abbiano commesso lo stesso i delitti. Tuttavia riconosco che il mondo criminale si vede così rappresentato nelle mie storie, che vi cerca parte della sua identità». Tuttavia non si tratta solo di imitare la pettinatura di Genny Savastano, uno dei protagonisti di Gomorra, per essere identificati come tipi duri. «Il problema – rileva Saviano – è che a volte leggo: “Attentato come in Gomorra” o “Rapina come in Gomorra”…e questo non è vero: tutto questo accadeva prima».

Non l’hanno capito a Scampia, dove – ricorda lo scrittore – sono scesi in piazza contro di lui: «Quando però ci sono tornati i figli di Di Lauro, narcos usciti dal carcere, nessuno ha fatto nessuna manifestazione. Nessuno ha detto di non volerli perché erano stati 10 anni in carcere. Hanno solo manifestato contro di me. Anche oggi c'è un manifesto online che si chiama Scampiamoci da Saviano», ricorda l’editorialista de l’Espresso. Che ammette di tornare poco a Napoli, soprattutto in occasione dei processi: «Non posso andarci come prima. C’è una parte della città che mi è molto ostile. Se ti porto a fare un giro lo vedi con i tuoi occhi. C’è gente che mi sputa addosso. Dicono che ho fatto i soldi a costo della città. Il denaro onesto che ha guadagnato una persona che scrive è un problema, ma quello che hanno fatto i criminali durante tutti questi anni no. Da 10 anni convivo con questo, è molto italiano», insiste Saviano.
 
Eppure per lui è impossibile dimenticare Partenope e non continuare a scrivere sulla sua città: «Quanto più mi allontano, più scrivo su Napoli», riconosce. «La distanza aumenta la vicinanza del cuore, del pensiero, dell’analisi. Tutto il mio distanziamento è un modo per continuare a essere a Napoli. E’ la mia terra, la conosco molto bene e mi manca. Per questo mi sembra un’infamia che mi chiamino nemico della città. Ogni volta che chiudo un contratto, cerco in Google: ‘Casa in vendita a Napoli”. Allora chiamo la banca per chiedere un’ipoteca, e il tipo mi risponde: ‘Sicuro a Napoli?’. Poi attacco il telefono e non torno a chiamare».

Quanto alla reclusione, la vita blindata cui è costretto da oltre undecennio, Roberto Saviano assicura che, potendo, tornerebbe indietro. Sarebbe «molto più prudente» che ai 26 anni, quando scrisse Gomorra. «Non lo rifarei allo stesso modo», confessa. «Li ho sfidati, ero convinto di essere invincibile. Avevo già un’autentica vita intellettuale, non questa merda di vita da vagabondo, o da personaggio clandestino…».
 
 
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