L'onda lunga del rancore su Napoli, ecco da dove nasce

L'onda lunga del rancore su Napoli, ecco da dove nasce
di Ernesto Mazzetti
Domenica 30 Dicembre 2018, 14:05
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La deplorevole espulsione del grande calciatore Koulibaly dallo stadio milanese, vittima dell'inciviltà di tifosi e d'insipienza arbitrale, ha lasciato intuire che sentimenti antinapoletani albergano anche fuor degli stadi, tra genti settentrionali. Perché? Tocca riproporci quesiti che ci tormentano da tempi remoti, riguardanti possibili diversità tra Napoli, realtà di pietra e storia, e i suoi abitanti. Napoli affascina ma sono brutti i napoletani? Interrogativo al quale negli anni ho talvolta azzardato risposte. Dubbioso sempre, però, della solidità di qualsivoglia conclusione. Il terreno, si sa, è scivoloso Ragionando di storia ci si può trovar contraddetti dalla sociologia. E non c'è sapiente considerazione che non rischi l'impatto con fatti e misfatti della politica e della cronaca. O addirittura piombi nel buco nero dell'antropologia, ove eredi tardivi di scuole positivistiche congetturino di tipologie razziali. Inevitabile che il tutto finisca nel calderone mass mediatico, nel ribollio di o sole, o mare, la pizza e il ferro (inteso questo come revolver o kalashnikov). Con condimento di Pergolesi e Paisiello, Murolo e Daniele, Vico e Croce, Totò e De Filippo, superstizione e scienza. Una minestra maritata, insomma. Nel remoto passato l'ammannivano tanti viaggiatori stranieri, e poi Benjamin e Sartre. Se ne nutrì ovviamente la letteratura autoctona: Mastriani e Rea, e Compagnone, Prisco, La Capria, per dir solo di pochi. E infine l'odierna produzione ammantata di noir, con l'eccezione dell'acclamata rinascita di quella sorta di recherce di luoghi e di esistenze nella dolente periferia della Napoli post bellica.

Figuriamoci se in questa minestra non ci si tuffava anche il cinema: attivo dai tempi del muto, con la Bertini interprete della digiacomiana Assunta Spina. Film e sceneggiati. Alcuni belli, altri meno. Provocatorio, Francesco de Core, collega stimato, ci ha riproposto in aere pre natalizio i temi di cui sopra. Ben consapevole di toccare il nervo sempre scoperto dell'immagine che Napoli dà di sé; domandandosi, e stimolando altri, se la città può o no rispecchiarsi in quello che è o in quello che appare tra stereotipi e nuove narrazioni. Gli suggerirei raccoglierle queste rinnovate esplorazioni di luci ed ombre. Contributo di napoletanologia, a latere dei recenti, importanti saggi di Frascani, di Macrì. 

Ed ecco che, sopraggiungendo l'affare Koulibaly, altra materia di riflessione s'aggiunge sul tema Napoli e i napoletani, sull'immagine che si ha della città e i sentimenti che suscitano i suoi abitanti. Argomenti che solleva altro apprezzato collega, Vittorio Del Tufo, strettamente ricongiungendoli alle considerazioni raccolte da Il Mattino nelle ultime settimane. Si chiede Vittorio come sia possibile che l'Italia individui Napoli come oggetto di crescente attrazione turistica, fulcro di produzione ed ispirazione di musica, spettacolo, letteratura, fiction; e che, parallelamente, oltre il Garigliano, una massa d'italiani esprima disistima, perfino ostilità verso i meridionali in genere e i napoletani in specie. Addirittura odio, nel caso di selvagge tifoserie. I napoletani insiste Maurizio de Giovanni vengono percepiti come entità diversa dalla città.

Calma, amici miei. Il tessuto è delicato. Penso occorra lavorar di bisturi e microscopio. Perché napoletani è definizione troppo generalizzante. Pur convinto anch'io della grossolana genericità dei giudizi diffusi altrove. Il fatto è che tra il milione circa di residenti nel capoluogo, tre nell'area metropolitana, 5,8 nell'intera Campania, ogni persona ragionevole ha buon diritto di operare nette distinzioni. Scegliere nella massa i tanti ai quali sentirsi accomunati per civiltà di modi e di pensiero, indipendentemente da ceto, censo, sesso, grado di istruzione. E verso tali conterranei provare solidarietà, vigorosamente respingendo ogni offensiva definizione generalizzante. Ma laddove manchino i requisiti di civiltà di pensiero e comportamento, la sola appartenenza comunale o regionale non può costituire titolo sufficiente a pretendere solidarietà. Semmai ripulsa.

Gino Doria, beffardo erudito, già mezzo secolo fa intuiva il dramma d'un milione di napoletani oppressi da cattiva fama a causa di 25mila concittadini nullafacenti, canterini e volgari. Il rapporto numerico, purtroppo, è molto peggiorato; come mutata è la tipologia di quanti col loro abituale violare il codice penale e norme amministrative e stradali, non meno che il galateo e il rispetto del prossimo, recano danno enorme alla comunità napoletana e regionale. Sono minoranza, fortunatamente. Ma doppiamente nociva. Contribuiscono a peggiorare la qualità di vita dei cittadini tutti. Alimentano pregiudizi e ostilità che in altre regioni si palesano verso una popolazione in maggioranza incolpevole della cialtroneria o criminosità d'una minoranza. Vorrei molto altro aggiungere: su amministrazione, politica, borghesia, gioventù. Conto di farlo allo spuntare del nuovo anno. Che auguro migliore a noi tutti.
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