La crisi dei negozi:
​rischio Disneyland

di ​Stefano de Falco
Mercoledì 24 Aprile 2019, 08:47
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I recenti articoli pubblicati sul Mattino hanno ben evidenziato il momento di crisi che stanno attraversando gli esercizi commerciali di alcuni quartieri della città di Napoli, come ad esempio l’Arenella, il Vomero e il Centro Storico, da sempre inclini ad attività di retail consolidato dalla presenza di marchi e griffe note. Al di là di alcune giuste osservazioni già sviscerate sul fenomeno e sul peculiare ruolo negativo della camorra quale agente catalizzatore di tali dinamiche, è bene contestualizzare il tema in una cornice ben più ampia che sta abbracciando diverse metropoli, particolarmente in Europa e nel Nord America.

Un primo fattore di influenza delle modifiche delle geografie urbane che sta innescando meccanismi di riconversione dell’attività commerciale, che vede, come sottolineato già da Giuseppe Crimaldi sul Mattino, la chiusura di esercizi storici e la loro sostituzione con attività di street food e vendita di souvenir locali, è relativo al sovra-turismo, anche noto come overtourism, proprio per la sua dimensione internazionale. 

Certamente in una città come Napoli, dove il solo traffico crocieristico sforna (secondo i dati della Autorità di Sistema Portuale del Mare Tirreno Centrale) più di un milione e trecentomila turisti all’anno, il paradigma dell’overtourism con le sue esternalità, non solo positive, è amplificato. 
La problematica è talmente sentita dai residenti che ormai, da diversi anni, si sono costituiti veri e propri movimenti popolari contrari al dilagare di fenomeni turistici massivi, che sono stati spesso anche promotori di azioni e manifestazioni in difesa delle proprie identità urbane. I manifestanti anti-turismo sono stati particolarmente virulenti in Spagna e in Italia (ad esempio a Venezia) e presenti in misura minore in Inghilterra e Croazia. 

Le ragioni ascrivibili a questo recente repentino aumento di un movimento incorporeo legato all’anti-turismo sono diverse. Rientrano, tra queste, la preoccupazione per il degrado di opere culturali ed artistiche e di elementi paesaggistici, ma soprattutto la “Disneylandizzazione” di interi centri storici delle città. Questo movimento è anche sintomatico di un cambio di paradigma. I locali ora sono più interessati alla loro qualità della vita, piuttosto che al reddito generato dall’industria del turismo. 

Gli amministratori locali si stanno sempre più rendendo conto della necessità di attuare politiche urbane sul turismo che siano strategiche dal punto di vista della loro capacità di contrastare le sempre più diffuse aggressive economie di mercato tese allo sfruttamento, incentivando, viceversa, una sostenibilità urbana del turismo nelle sue varie forme. L’overtourism rischia di fatto di sconvolgere la vita dei residenti dei centri storici delle città turistiche, i quali optano sempre più copiosamente verso aree residenziali suburbane, inducendo così una perdita di identità e di unicità del luogo che abbandonano, e la conseguente chiusura di esercizi commerciali storicamente riservati ai residenti.

Un secondo aspetto da portare in conto nella crisi del commercio al dettaglio dei centri urbani di Napoli, è legato alle trasformazioni urbane in atto che hanno caratterizzato un po’ tutte le città del Mediterraneo. Queste, infatti, hanno subito enormi trasformazioni negli ultimi trenta anni, soprattutto concretizzatesi nel passaggio da modelli tradizionali consolidati a nuove morfologie discontinue e caotiche. Questo cambiamento è stato accompagnato da un rapido e a volte disordinato sviluppo del territorio ai margini delle grandi città. Allo stesso tempo, il declino della prospettiva di rilevanza dell’urbe centrale rispetto alla nascita di nuove città satellite e centri suburbani è stato spiegato con la nascita di una configurazione spaziale policentrica. Questo modello legato allo sviluppo di una pluralità di centri urbani migliora il rendimento economico dell’intera regione e riduce le disparità causate dalla concentrazione della popolazione e delle attività nel centro della città, ma sta di fatto indicendo nuove geometrie di localizzazione delle attività commerciali, che non vedono più nei luoghi di shopping consolidato, come il Vomero e l’Arenella nel caso di Napoli, appunto, l’asset strategico di scelta insediativa.

Infine, non può essere trascurato il terzo paradigma di influenza su tale fenomeno, esprimibile in modo sintetico se non attraverso un (antipatico) neologismo, quale quello della Amazonizzazione incombente. La notizia della recente apertura dello stabilimento Amazon ad Arzano ha fatto brillare gli occhi di molti giornalisti che in questi giorni ne hanno decantato, in diversi articoli, le positive esternalità occupazionali da esso derivanti; tuttavia le analisi vanno fatte sempre in modo macro-economico e globale considerando gli impatti sul trend decrescente di acquisiti in esercizi commerciali fisici e non on line. In altre parole, come nel caso del tema ambientale, l’approccio deve essere necessariamente fatto in termini multivariati. Al di là della forse incomprensibile semantica della parola, resta il fatto: lo scenario è complesso e va affrontato come tale. Per cui, ovviamente, lunga vita al commercio dei centri urbani, soprattutto di Napoli, ma ne siano valutati tutti gli aspetti.
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