Coronavirus a Napoli, la denuncia dell'impiegata dell'avvocato: «Io guarita, chiedo un secondo tampone»

Coronavirus a Napoli, la denuncia dell'impiegata dell'avvocato: «Io guarita, chiedo un secondo tampone»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 16 Marzo 2020, 08:00 - Ultimo agg. 14:15
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Ha ricevuto da qualche giorno la notizia più bella che poteva attendere in questo periodo: il certificato di avvenuta guarigione. In poche parole, la fine di un incubo, l'epilogo migliore possibile rispetto ad una ventina di giorni fa, quando le era caduto il mondo addosso, quando le era stato diagnosticato il contagio da covid-19, quando era entrata in una sorta di lazzaretto fisico e mentale con tanto di quarantena e terapie d'urto. E invece l'incubo è finito per una giovane impiegata, che invece si rivolge al Mattino per sollevare un problema forse comune ad altri pazienti o ex ammalati: «Mi è giunto a casa il certificato di avvenuta guarigione, sono ovviamente felice, anche se resto perplessa su un punto in particolare: non mi è stato somministrato un secondo test, un tampone bis, rispetto al primo che - una ventina di giorni fa - mi dava per contagiata».
 

 

Ma ricapitoliamo i fatti. Siamo alla fine di febbraio, quando la donna contrae il coronavirus, probabilmente sulla scorta di un contagio da immigrazione, per aver avuto contatti di lavoro con un professionista napoletano spesso in trasferta a Milano.

Inizia la paura, la quarantena, che per l'impiegata non assume risvolti drammatici. Resta in casa in autotutela per quasi venti giorni, la malattia per lei non ha nulla di virulento: pochi decimi di febbre, tosse, qualche problema di respirazione di notte. Il tutto curato con una terapia a base di tachipirina, sempre e comunque a stretto contatto con il proprio medico curante.

Passano i giorni, la situazione migliora, via via spariscono i sintomi: niente più febbre, niente più tosse, il caso sotto il profilo clinico viene dichiarato chiuso, con tanto di firma dell'Asl sotto il certificato di avvenuta guarigione. Eppure - spiega la ormai ex paziente al Mattino - c'è il giallo del cosiddetto secondo tampone. «Ho telefonato all'Asl e ho chiesto di avere un tampone che accerti la mia condizione di salute, il mio status di paziente negativo al test, altrimenti, per quanto guarita, rischio di essere ancora potenzialmente contagiosa per il prossimo. Mi hanno detto di lasciar perdere, mentre a me viene un dubbio: ora sto bene, ma posso stare assieme ai miei genitori? Quanto sono pericolosa per il prossimo? Non era doveroso farmi un secondo test?».
 

Un'emergenza che fa i conti con mezzi e risorse che ogni giorno diventano sempre più esigui. Mancano mascherine, il personale del 118 non riesce a soddisfare tutte le richieste di soccorso, mentre si fa strada anche il tentativo di lucrare sull'emergenza.
Proprio in materia di tamponi, pochi giorni fa, sono stati i carabinieri del Nas ad intervenire in due centri clinici privati. Operazione condotta dal colonnello Vincenzo Maresca e dal maggiore Gennaro Tiano, sono sbucati centri clinici che hanno messo in vendita tamponi fino a pretendere 120 euro a test. Una sorta di commercio ritenuto completamente illegale, sia per il prezzo imposto ai referti, sia per quanto riguarda la validità - sotto il profilo scientifico - degli stessi markers rilasciati. Insomma, un modo per andare all'incasso, magari speculando sulla fobia da contagio che ormai appartiene a tutti i cittadini o sulle esigenze di chi deve accudire genitori o pazienti anziani. 

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