Napoli: tutti pazzi per Maradona, ma resta ancora al palo il progetto del museo

Napoli: tutti pazzi per Maradona, ma resta ancora al palo il progetto del museo
di Valerio Esca
Martedì 1 Novembre 2022, 00:02 - Ultimo agg. 2 Novembre, 08:27
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«Diamo vita al museo Maradona». L’appello dei tifosi del Napoli è rivolto al Comune, che conserva nella pancia dello stadio di Fuorigrotta, decine e decine di scatoloni con migliaia di cimeli raccolti all’esterno dell’impianto all’indomani della scomparsa del campione argentino. I Maradona-day sono scanditi dall’amore inquantificabile dei napoletani nei confronti del Dies. E sono tanti quelli che vorrebbero poter toccare con mano quell’amore spontaneo che ha attraversato il popolo azzurro in quel terribile fine novembre di due anni fa. 

Il sacrario dimenticato e il sogno tradito. Il progetto che avrebbe dovuto portare al Museo Diego Armando Maradona, resta al palo. Sciarpe, maglie, scarpini, fotografie, lettere sono stipati, accatastati e chiusi, in uno sgabuzzino del Comune, all’interno del Maradona: un vecchio deposito di cancelleria del Municipio, tra il settore C e D della Tribuna Posillipo, accanto all’ufficio marketing del Calcio Napoli. I napoletani hanno omaggiato Diego per settimane, sotto la pioggia, con il freddo, di giorno, di notte. Una processione senza fine. A quasi due anni dalla scomparsa di Diego, il sacrario - non solo - non è stato trasformato in un luogo di culto per l’intero popolo azzurro, ma neanche esposto in mostra. Difatti, nel giorno dell’Immacolata del 2020, l’amministrazione all’epoca guidata da Luigi de Magistris, annunciò l’intenzione di mette in piedi un’esposizione temporanea che si sarebbe dovuta tenere al Museo Filangieri: «Sinfonia di una felicità: Napoli es mi casa». L’idea portata avanti dal direttore del museo Paolo Jorio, con l’ex sindaco e i due assessori dell’epoca Eleonora De Majo (Cultura e Turismo) e Ciro Borriello (Sport), era quella di mettere sotto i riflettori quanto accaduto a Napoli dopo la notizia della scomparsa di Diego Maradona. «Era tutto pronto, poi il Covid ci ha massacrato - racconta Jorio - Quel progetto era nato con i due ex assessori De Majo e Borriello, purtroppo con il cambio di giunta non ci sono state più interlocuzioni.

Sarebbe stata una bellissima cosa, che non si è potuta poi realizzare. Lo dico con grande dispiacere da napoletano e da tifoso». Dopo due anni è tutto fermo: tra burocrazia, cambio amministrazione e l’inchiesta giudiziaria sulla statua di Maradona, che ha coinvolto soggetti impegnati anche sul progetto del Museo Maradona.

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L’altra incognita è rappresentata proprio dalla statua, della quale Il Mattino si è occupato il 14 ottobre. La scultura dell’artista Domenico Sepe a quasi un anno dalla sua inaugurazione è diventata un giallo. La volontà di istallare in maniera permanente l’opera in bronzo, di oltre 4 metri, all’esterno del settore Distinti, nell’area pre-filtraggio, è naufragata. È rimasta all’esterno dello stadio giusto il tempo di qualche foto e videointervista, nel giorno del taglio del nastro lo scorso 25 novembre. L’unico pellegrinaggio possibile resta quello al murales di Maradona ai Quartieri Spagnoli. Lo slargo alla fine di via Emanuele De Deo si è trasformato nella Mecca del Dio del pallone. Anche il bar di Antonio Esposito (conosciuto da tutti come Bostik), «La Bodega», due anni fa è diventato «La Bodega de Dios». Ed è proprio la famiglia Esposito, proprietaria di quella piccola attività commerciale di quartiere, che ha «adottato» quello slargo: «Il murales lo fece fare mio padre nel 1989 da Mario Filardi, poi è stato restaurato pochi anni fa - racconta Manuela, la figlia che gestisce l’attività di famiglia -. L’area è di proprietà dei miei cugini, non è comunale come alcuni pensano, e mio padre l’ha ottenuta in comodato d’uso gratuito. Si può tranquillamente riscontrare con le visure catastali».

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Per evitare bivacchi notturni e fastidi per i residenti «abbiamo messo un cancello per scongiurare il disturbo della quiete pubblica» spiega ancora Manuela. Pavimentazione, una cappella votiva, le teche per sistemare sciarpe e cimeli: tutto a carico del papà della giovane. Inizialmente si era immaginato un coinvolgimento del Comune di Napoli, ma non se ne fece niente. Ad interessarsene era stata in prima persona Alessandra Clemente, all’epoca assessore al Patrimonio e Polizia municipale, che voleva agevolare i processi amministrativi affinché gli Esposito potessero in qualche modo prendersi cura dello spiazzo. «Tutto andato in fumo, perché dal Comune scoprirono di non essere proprietari di quell’area - ricorda Manuela, che si è anche candidata alle scorse amministrative nelle liste di Clemente - Ci siamo presi cura noi di un posto che oggi è diventato prezioso per tutta la città». 

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